venerdì 25 luglio 2014

Il sistema di gestione delle crisi italiano è idoneo ad affrontare le crisi

Dal Convegno organizzato  il 7 maggio 2014 presso la Facoltà di Economia  dell'Università di Torv Vergata dall'Ordine dei  Dottori Commercialisti di Roma e dall'Associazione Internazionale "G.Carli" sul tema "La gestione della crisi d’impresa"  riportiamo l'intervento del dott. Pier Luigi Conti, Capo del Servizio Costituzioni e Gestione della crisi della Vigilanza bancaria e finanziaria  della Banca d'Italia

1.Premessa
Desidero innanzitutto ringraziare il dott. Moretti per l’invito a partecipare a questo interessante convegno che attiene argomenti che, come è facile comprendere, hanno diversi punti di interesse per la Vigilanza.
Nella mia breve presentazione accennerò a tre profili: le determinanti della crisi economica e finanziaria, le modalità di gestione delle crisi degli intermediari adottate dalla Banca d’Italia, le principali caratteristiche del nuovo quadro normativo in materia di crisi bancarie, recentemente approvato in sede comunitaria.
2. La crisi economica e finanziaria
La crisi economica internazionale, che ormai si protrae da un quinquennio, viene innescata, come noto, da cause di natura prettamente finanziaria, in particolare gli squilibri nel mercato dei mutui subprime. Fanno da “incubatore” alla crisi condizioni di carattere più generale quali l’integrazione dei mercati, l’innovazione tecnologica e finanziaria, la deregolamentazione, la politica monetaria accomodante della banca centrale statunitense.
Lo sviluppo di prodotti finanziari innovativi e complessi (quali ABS, CDO ecc..) rende arduo comprenderne appieno il profilo di rischio. Dal tradizionale modello di intermediazione creditizia si è passati negli USA ad un sistema nel quale i prestiti concessi venivano rapidamente trasformati in prodotti finanziari ceduti sul mercato (c.d. originate to distribuite, OTD), riducendo gli incentivi per gli intermediari ad un approfondito vaglio del merito creditizio degli affidati.
Ad aggravare la crisi hanno contribuito ulteriori fattori relativi al sistema bancario e finanziario quali la spinta deregolamentazione, l’inadeguatezza quantitativa e qualitativa delle riserve di capitale e di liquidità, l’eccessiva leva finanziaria, la diffusione di sistemi di remunerazione e di incentivazione distorti.
Nell’area dell’euro la crisi ha riflesso due fattori: le debolezze di alcuni paesi membri e l’incompletezza della costruzione europea. Le debolezze nel disegno istituzionale europeo hanno sollevato timori circa l’integrità dell’unione monetaria.
Anche a seguito delle crisi greca e irlandese, i differenziali di rendimento tra i titoli di Stato dell’area dell’euro si sono ampliati repentinamente nella seconda metà del 2011; quello tra i titoli pubblici decennali italiani e tedeschi raggiungeva i 550 punti nel mese di novembre dello stesso anno.
Per fronteggiare la crisi sono stati realizzati diversi interventi quali la creazione dello European Financial Stability Facility (EFSF), uno strumento temporaneo le cui emissioni obbligazionarie sono garantite dagli stati membri, lo European Stability Mechanism (ESM), un meccanismo permanente per la gestione delle crisi istituito per trattato internazionale e dotato di capitale proprio.
Con le due LTRO a tre anni, condotte nel dicembre 2011 e nel febbraio 2012, l’Eurosistema forniva alle banche dell’area finanziamenti complessivi per circa 1.000 miliardi.
La consapevolezza della difficoltà di superare l’impasse della situazione europea si traduceva, nell’estate del 2012, nell’annuncio di nuove modalità di intervento sul mercato secondario dei titoli di Stato (le Outright Monetary Transactions, OMT), che possono essere utilizzate solo per i titoli dei paesi che aderiscono a un programma di aggiustamento macroeconomico o di tipo precauzionale dell’ESM.
Sotto l’egida del Financial Stability Board (FSB) e del Comitato di Basilea è stata approvata una nuova disciplina in materia prudenziale applicabile a banche e società di intermediazione mobiliare, che impone riserve patrimoniali e di liquidità più stringenti, limiti alla leva assumibile, un nuovo quadro macro - prudenziale.
A livello istituzionale la riforma più rilevante è rappresentata dalla Banking Union, composta dal Sistema di vigilanza unico (SSM), da un Sistema accentrato di gestione delle crisi (SRM) e da un quadro armonizzato di tutela dei depositanti.
Secondo la Commissione europea, il costo dei salvataggi pubblici delle banche europee è stato pari a 1.600 miliardi di euro nel periodo 2009-2013. Le banche italiane invece, anche grazie ad un modello di business più tradizionale e all’attenta azione della Vigilanza, hanno “retto” gli effetti della crisi senza bisogno di sostegni pubblici.
3. La gestione delle crisi degli intermediari bancari e finanziari in Italia
A partire dal 2009 il numero delle procedure di gestione delle crisi ha registrato un significativo incremento, attestandosi, alla fine del 2013 a 78; nel quinquennio precedente erano in media state avviate n. 5 procedure per anno. Il perdurare della crisi economica porta a ritenere che il trend possa proseguire nei prossimi mesi.
Le procedure hanno interessato principalmente intermediari di dimensione ridotta, operanti in diverse aree del Paese, con una limitata prevalenza del meridione. In alcuni casi sono stati assoggettati ad amministrazione straordinaria intermediari con operatività interregionale, anche quotati o con titoli diffusi tra il pubblico. L’incidenza complessiva sul sistema bancario e finanziario italiano è risultata comunque marginale (1% circa).
Tradizionalmente le procedure di gestione delle crisi hanno riguardato in prevalenza banche di credito cooperativo e società di intermediazione mobiliare. Negli ultimi anni si è registrata una diversificazione della natura e delle caratteristiche dei soggetti coinvolti: banche attive nel comparto delle garanzie, SGR operative in segmenti innovativi (come la gestione di fondi hedge, immobiliari, di private equity), IMEL.
L’incremento del numero delle crisi è in parte da ricondurre ad un approccio della Vigilanza volto ad accrescere la tempestività degli interventi sulle situazioni aziendali connotate da maggiore criticità e alla crescente attenzione alle carenze degli assetti di governo e controllo e ai profili di compliance (in particolare, relativamente all’antiriciclaggio e alla trasparenza).
Non è stata possibile un’azione ancor più precoce da parte della Vigilanza per l’assenza di strumenti – diversi dalla moral suasion – volti ad allontanare amministratori o dirigenti responsabili di condotte irregolari rischiose per la stessa stabilità delle banche. Il recepimento nel nostro ordinamento delle direttive sull’adeguatezza patrimoniale (cd. CRDIV) e sulla gestione delle crisi (BRRD) consentirà di disporre di un ventaglio di strumenti che prevedono misure di “allontanamento” degli esponenti responsabili delle criticità aziendali. L’utilizzo di tali strumenti (remouval, temporary ban) dovrà essere proporzionato ai comportamenti irregolari.
Nell’ultimo biennio, la perdurante crisi economica si è riflessa negativamente sulla qualità del credito, sulla redditività e sull’adeguatezza del patrimonio a fronteggiare la rischiosità aziendale, determinando per gli intermediari con i profili tecnici più fragili la necessità di provvedimenti straordinari. Il ciclo economico ha anche inciso
sulla disponibilità delle potenziali controparti a partecipare a operazioni di salvataggio.
Gli organi straordinari, sotto la supervisione della Banca d’Italia, al fine di creare i presupposti per la restituzione alla gestione ordinaria, mirano in primo luogo a regolarizzare la gestione aziendale; quindi adottano misure di risanamento aziendale, assicurando il riequilibrio della struttura dei costi. Il ritorno alla gestione ordinaria si accompagna all’elaborazione di un piano industriale che preveda misure di rafforzamento degli assetti di governo e controllo e, ove necessario, interventi di ricapitalizzazione.
Il tasso di restituzione alla gestione ordinaria – stand alone o mediante l’aggregazione con altri intermediari – si attesta sul 50%; tale risultato è stato conseguito grazie alla prassi adottata negli ultimi anni dall’organo di Vigilanza di utilizzare l’amministrazione straordinaria con crescente tempestività, al fine di evitare che le irregolarità gestionali determinassero deterioramenti non reversibili dei profili tecnici (early intervention).
Anche nei casi in cui la definitiva compromissione dei profili tecnici ha reso impossibile il “ritorno al mercato”, la liquidazione coatta amministrativa è stata avviata con modalità operative (cessione delle attività e delle passività ad altro operatore, individuato con criteri di mercato) idonee a garantire la stabilità dell’interveniente, la tutela dei depositanti e dei creditori sociali, l’offerta di servizi bancari al territorio, la tendenziale preservazione dei livelli occupazionali.
A differenza di quanto accaduto in altri paesi dell’UE, in nessun caso gli interventi di risoluzione delle crisi hanno comportato oneri per i taxpayers.
L’aumento del numero e della dimensione degli intermediari in crisi ha accresciuto il ruolo dei Sistemi di Garanzia dei Depositanti (Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi – FITD e Fondo di Garanzia dei Depositanti delle BCC - FGDCC), chiamati a supportare l’attività della Banca d’Italia sia fornendo le risorse necessarie ad assicurare la tutela dei creditori sociali sia, nel caso del FGDCC, favorendo l’individuazione di controparti disposte ad intervenire per la soluzione della crisi.
Gli interventi dei Fondi sono autorizzati dalla Vigilanza e sono a carico delle banche aderenti. Il FGDCC, coerentemente con i caratteri mutualistici del mondo cooperativo, effettua interventi anche a favore di aderenti non assoggettate a procedure di gestione delle crisi.
Gli istituti previsti dall’ordinamento italiano, seppur “pensati” per un mercato bancario e finanziario profondamente diverso da quello attuale, hanno consentito di gestire efficacemente le crisi degli intermediari, anche in un
contesto di mercato reso progressivamente più difficile dalla crisi economica.
Tuttavia risultano evidenti le esigenze di importanti interventi manutentivi. La crisi economica si sta oggi riverberando in misura accentuata sulla situazione economico patrimoniale delle imprese affidate, generando una elevata incidenza delle partite anomale (le sofferenze si attestano a € 160 mld circa), che incidono negativamente sui profili economico e patrimoniale e riducono la trasparenza dei bilanci bancari.
Il modello di intermediazione tradizionale delle banche italiane, che nella prima fase della crisi si era dimostrato un elemento di forza, oggi rappresenta un elemento di debolezza del sistema.
Conseguentemente risulta sempre più complesso individuare controparti disposte a rilevare le azienda bancarie in crisi in quanto:

gli intermediari prestano crescente attenzione all’impiego efficiente del capitale, anche in vista dell’avvio dell’SSM e dell’asset quality review (AQR) che ha indotto diversi operatori a lanciare importanti iniziative di ricapitalizzazione;

gli sportelli bancari hanno visto ridursi la propria centralità nell’abito delle modalità di contatto con la clientela; conseguentemente si riduce il “valore” dell’azienda bancaria in crisi che dovrebbe essere rilevata dagli intervenienti;

le aziende delle banche in crisi si connotano, normalmente, per un livello di efficienza operativa contenuta, principalmente a causa degli elevati oneri per il personale.
4. Il nuovo framework europeo di gestione delle crisi
Il framework di gestione delle crisi bancarie è destinato a modificarsi in modo sostanziale. Sono stati infatti recentemente approvati la Direttiva Recovery and Resolution (BRRD) e il Regolamento Single Resolution Mechanism (SRM) che delineano un quadro europeo di gestione delle crisi unitario dal punto di vista sia normativo sia operativo. L’obiettivo è quello di armonizzare a livello europeo le norme e gli strumenti per la gestione delle crisi degli intermediari vigilati e di evitare che i salvataggi debbano essere finanziati con risorse pubbliche, favorendo in tal modo l’integrazione dei mercati e riducendo le politiche volte a favorire i “campioni nazionali”.
La Direttiva prevede un ampio set di strumenti per la gestione delle crisi: di natura preventiva (recovery e resolution
plan); di intervento tempestivo (interventi preventivi, remouval degli esponenti aziendali, temporary administration, strutturata sulle caratteristiche dell’amministrazione straordinaria prevista dall’ordinamento italiano); di risoluzione: cessione del business, bridge istitution, asset separation tool (Bad bank), bail in.
Il bail in prevede che – nel rispetto dell’ordine di priorità - anche i creditori aziendali possano essere chiamati a sostenere i costi della crisi aziendale, con l’esclusione di alcune categorie aventi una particolare valenza sociale e/o con possibili impatti sul sistema bancario e finanziario (depositi garantiti, poste interbancarie con scadenza inferiore a 7 giorni ecc.). Per ovvie ragioni si tratta di uno strumento particolarmente delicato, per il quale sarà necessario definire anche in sede tecnica modalità di utilizzo oggettive e tutelanti per i creditori sociali.
L’applicazione del bail in – fino al limite dell’8% del passivo - è la precondizione per potere accedere alle risorse di uno specifico fondo costituito a livello europeo, il single resolution fund, finanziato con le contribuzioni degli intermediari vigilati (1% dei depositi protetti).
In merito all’assetto operativo, viene costituito il Resolution Board che curerà l’avvio della resolution e la gestione del fondo unico europeo. Benchè formalmente tutte le banche rientrino nel campo di applicazione dell’SRM, in realtà viene creato un sistema a “doppio binario”, con l’accentramento decisionale per le banche di maggiori dimensioni (cd. Significant), per quelle cross border e per i casi di ricorso al predetto fondo. Negli altri casi la responsabilità della gestione della crisi farà capo alle resolution authority nazionali (in Italia, in continuità con la situazione attuale, dovrebbe essere la Banca d’Italia), che cureranno in tutti i casi la fase attuativa.
Il processo decisionale di avvio della resolution è piuttosto complesso. È prevista la partecipazione della resolution Authority nazionale, del resolution board (che può operare in seduta esecutiva o plenaria), della Commissione e del Consiglio europeo, seppure con modalità basate sul principio del silenzio assenso. Ne derivano rischi di intempestività e di fuga di notizie che possono incidere negativamente su una efficace gestione della crisi.
La Banca d’Italia ha attivamente partecipato all’elaborazione sia della Direttiva comunitaria sia, in seno all’EBA, dei relativi standard tecnici e operativi. Sono stati avviati i lavori di recepimento nell’ordinamento italiano che appaiono piuttosto complessi alla luce dei riflessi sull’ordinamento vigente (principalmente, sul diritto fallimentare e sul testo unico bancario).
5. Conclusioni
Il sistema di gestione delle crisi italiano si è dimostrato idoneo ad affrontare le sfide poste dalla crisi economica, anche grazie alla ricerca di soluzioni innovative, a legislazione invariata, da parte della Vigilanza.
La complessità del contesto esterno rende indispensabile rafforzare lo strumentario a disposizione. La Direttiva BRRD e il Regolamento SRM creano le basi per una gestione uniforme delle crisi a livello europeo.
La Banca d’Italia, che ha partecipato attivamente al processo di elaborazione del nuovo quadro normativo è ora impegnata a contribuire al recepimento nell’ordinamento italiano.
Un sistema efficace di gestione delle crisi risulta indispensabile per contenere le esternalità negative delle crisi bancarie e per assicurare la stabilità del sistema finanziario, precondizione perché le banche assicurino quel flusso di credito all’economia necessario per la piena ripresa dell’attività economica. Le nuove norme rappresentano una pietra miliare.
                                                        dr.Pier Luigi Conti

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