martedì 5 marzo 2013

Il leasing finanziario: regolamentazione della risoluzione del contratto a seguito della riforma della legge fallimentare


Riportiamo la Circolare  n. 11 del 7.2.2013 dell'Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti  relativa a 

Il leasing finanziario: regolamentazione della risoluzione del 
contratto a seguito della riforma della legge fallimentare 



Roma, 7 febbraio 2013

Il leasing finanziario: regolamentazione della risoluzione del
contratto a seguito della riforma della legge fallimentare 


CIRCOLARE N. 11

Circonvallazione Clodia, 86 – 00195 Roma – Tel. +39 06.37.22.850 -Fax +39 06.37.22.624 www.knos.it


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Sede Legale: Via Verdi, 33 – Venezia


CIRCOLARE N. 11

Roma, 7 febbraio 2013

SOMMARIO

1. Il leasing finanziario: caratteristiche e normativa applicabile .................................................. 3
2. L’art. 72-quater l.f.: la disciplina del leasing nei rapporti pendenti.......................................... 5
3.
Regolamentazione del contratto di leasing in ambito non fallimentare ................................. 7
3.1. Orientamenti giurisprudenziali e dottrinali emersi in materia .............................................. 8
4.
Riflessioni e considerazioni sull’estendibilità dei principi stabiliti dalla normativa
fallimentare alle risoluzioni in bonis del contratto di leasing ................................................. 11
5.
Conclusioni ................................................................................................................................... 15
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1. Il leasing finanziario: caratteristiche e normativa applicabile
La locazione finanziaria o leasing finanziario è un contratto atipico, recepito dal diritto
anglosassone, che ha trovato un’ampia e crescente diffusione nel mondo degli affari.
Operatori commerciali e soggetti privati ricorrono sempre più frequentemente a questo
strumento per ottenere la disponibilità di beni mobili o immobili, conseguendo dei vantaggi

– finanziari e fiscali – rispetto al diretto acquisto, il quale comporterebbe, peraltro, una
immobilizzazione di risorse, a volte anche di entità rilevante.
Pur nell’assenza di una normativa specifica, si rinviene una definizione del contratto
nell’ambito di una legge speciale1 secondo cui trattasi di “operazioni di locazione di beni mobili
ed immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta o indicazione del conduttore, che ne
assume tutti i rischi, e con facoltà per quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine
della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito”2.
Sebbene incapace di descrivere la complessità e la varietà del fenomeno, tale norma indica
quali sono gli elementi essenziali del contratto di leasing ovvero:
a) le parti, rappresentate dal concedente del bene, dall’utilizzatore e da un terzo soggetto
individuabile nel fornitore o nel costruttore del bene stesso;
b) l’oggetto, ossia beni mobili od immobili;
c) la corresponsione di un canone periodico per l’utilizzo del bene;
d) l’assunzione di tutti i rischi relativi al bene da parte dell’utilizzatore;
e) la facoltà spettante all’utilizzatore di acquisire la proprietà del bene al termine del

contratto, contro il versamento di un determinato prezzo.
La persistente mancanza di un’organica regolamentazione del leasing nel nostro ordinamento
ha tuttavia creato notevoli difficoltà in termini di disciplina applicabile al contratto,
sicuramente maggiori qualora sia necessario determinare le conseguenze derivanti dallo
scioglimento del rapporto in un momento antecedente alla scadenza. Nel corso nell’ultimo
quarantennio dottrina e giurisprudenza si sono espresse in modo non univoco sulla
qualificazione giuridica di questo negozio, riconducendolo a tre possibili figure tipiche: la
locazione, la vendita con riserva di proprietà ed altresì il contratto di credito, stante
l’indubbia funzione di finanziamento del leasing.

1 L. 2 maggio 1976, n. 183, che stabiliva interventi nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980.
2 La definizione riportata è contenuta nell’art. 17 l. 183/1976 citata.

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In particolare, era sorto un contrasto interpretativo fra giurisprudenza di legittimità3 e
giurisprudenza di merito4, giacché la prima era orientata ad assimilare il leasing alla vendita
con riserva di proprietà – con applicazione dell’art. 1526 cod. civ. in caso di risoluzione – ,
mentre la seconda era favorevole a qualificare il negozio come contratto atipico di durata
avente finalità di finanziamento, assoggettato alle disposizioni generali sui contratti ed in
specie all’art. 1458 cod. civ.5. Il dibattito venne risolto dalla Corte di Cassazione quando sul
finire degli anni ’80 si espresse sul punto con sei sentenze6 – e successivamente con una
pronuncia delle sezioni unite7 – , attraverso l’individuazione di due possibili tipologie del
contratto di leasing finanziario, il c.d. “leasing di godimento” ed il c.d. “leasing traslativo”,
distinti in relazione alla funzione perseguita.
In maggior dettaglio, nel leasing di godimento prevale la concessione in utilizzo, avendo ad
oggetto beni strumentali di impresa dati in uso all’utilizzatore per un periodo di tempo
generalmente coincidente con la durata tecnologica ed economica dei beni stessi, i quali,
pertanto, al termine del rapporto hanno di regola un valore residuo trascurabile. In questa
ipotesi, il canone periodico rappresenta il corrispettivo di tale godimento, mentre ha
un’importanza marginale ed accessoria l’eventuale opzione di acquisto da esercitarsi al
termine del rapporto, data l’avvenuta obsolescenza dei beni.
Il leasing traslativo prevede invece una durata tale da far sì che alla scadenza del contratto i
beni ad oggetto abbiano un valore apprezzabile, nettamente superiore al prezzo di opzione.
Posto l’obiettivo “traslativo” che si pone questa tipologia di contratto, i canoni corrisposti
dall’utilizzatore costituiscono quindi sia il corrispettivo del godimento dei beni, sia il
pagamento anticipato di parte del prezzo pattuito per l’acquisto alla scadenza.
Sulla base della distinzione sopra delineata, la giurisprudenza ha previsto quale disciplina
applicare al verificarsi dello scioglimento anticipato del contratto di leasing, anche in caso di
fallimento. In specie, nell’ipotesi di leasing di godimento, essendo lo stesso qualificabile come

3 Corte di Cassazione sentenze n. 5623/88, 8766/87, 3023/86 e 6390/83.
4 Si vedano, per tutte, Tribunale Vicenza 1° luglio 1988, Appello Genova 14 novembre 1988, Tribunale Torino 18
ottobre 1988, Tribunale Milano 21 settembre 1987, Appello Torino 7 settembre 1987, Tribunale Venezia 28 aprile
1987, Tribunale Verona 15 aprile 1987, Appello Milano 23 settembre 1986, Tribunale Torino 20 marzo 1986,
Tribunale Udine 16 marzo 1985, Appello Venezia 17 luglio 1984.
5 Cfr. A. MARTINI – D. DI PAULI, Fallimento e contratto di leasing finanziario, Monografia, in www.odcec.pn.it, p. 1;


A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Cedam, 2009, p. 389; G. LO CASCIO, Codice
commentato del fallimento – Disciplina comunitaria e transfrontaliera; disciplina tributaria, Ipsoa, 2008, p. 653 e ss..
6 Corte di Cassazione sentenze n. 5569/1989, 5570/1989, 5571/1989, 5572/1989, 5573/1989 e 5574/1989.
7 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 65/1993.
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contratto ad esecuzione continuata o periodica e quindi riconducibile alla figura codicistica
della locazione, il rapporto dovrà sottostare alla disciplina generale dei contratti ed, in
particolare, alle limitazioni/eccezioni dell’art. 1458, primo comma, seconda parte, cod. civ.,
secondo cui l’effetto della risoluzione non ha effetti retroattivi e non si estende, quindi, alle
prestazioni già eseguite. In presenza di detta tipologia di contratto, la società di leasing non
sarà, pertanto, obbligata a restituire i canoni percepiti.
Diversamente, qualora si tratti di leasing traslativo, stante la differente natura del contratto,
assimilabile alla vendita con riserva di proprietà, oltre alla retroattività dell’effetto risolutivo
stabilita in via generale dall’art. 1458, primo comma, prima parte, cod. civ., opera altresì la
previsione dell’art. 1526, primo comma, cod. civ.; in questo caso, dunque, la società di leasing
sarà tenuta alla restituzione dei canoni riscossi, ma al contempo avrà il diritto ad un equo
compenso per l’utilizzo del bene ed al risarcimento del danno.8

2. L’art. 72-quater l.f.: la disciplina del leasing nei rapporti pendenti
Nel quadro sopra delineato si inserisce l’art. 72-quater l.f.9, la novella introdotta dal
Legislatore con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 – successivamente parzialmente integrata
mediante l’art. 4 d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 – al fine di disciplinare il contratto di
locazione finanziaria nell’ambito della normativa fallimentare. Tale articolo riveste un ruolo
assai rilevante, giacché per la prima volta è stata prevista una specifica regolamentazione del
contratto di leasing nel nostro ordinamento, colmando una lacuna che si protraeva da tempo.

8 Sulla distinzione tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo” si vedano Corte di Cassazione, sentenze nn.
5569-5574/1989, citate; A. MARTINI – D. DI PAULI, op. cit., pp. 2–4; A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 389 e ss.; G.
LO CASCIO, op. cit., p. 654 e ss.; B. INZITARI, Leasing nel fallimento: soddisfazione del concedente fuori dal concorso
sostanziale e accertamento del credito nel concorso formale, in Il Fallimentarista, Giuffrè Editore, pp. 1–2.

L’art. 72-quater l.f. prevede: (1) Al contratto di locazione finanziaria si applica, in caso di fallimento
dell’utilizzatore, l’art. 72. Se è disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa il contratto continua ad avere
esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto. (2) In caso di scioglimento del
contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale
differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori
di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale; per le somme già riscosse si applica l’art. 67, terzo comma,
lett. a). (3) Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data
del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. (4) In caso di fallimento delle società
autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, il contratto prosegue;
l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza del contratto, la proprietà del bene, previo
pagamento dei canoni e del prezzo pattuito.

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Va rilevato, al riguardo, che l’art. 72-quater contiene sì un’insieme di regole volte a realizzare
un effettivo coordinamento con la più generale disciplina dei rapporti giuridici pendenti, ma
rivela al contempo un indirizzo diverso rispetto all’impostazione interpretativa precedente10.
In maggior dettaglio, la norma citata distingue il caso del fallimento dell’utilizzatore da
quello del concedente ed altresì dall’ipotesi dell’esercizio provvisorio dell’impresa.
Dall’esame della disposizione nell’ordine di redazione seguito dal Legislatore, si evince che
qualora venga disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, il contratto continua ad avere
esecuzione, salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere.
Nel caso in cui, invece, si addivenga allo scioglimento del contratto, al concedente spettano i
seguenti diritti:
a) la restituzione del bene, contro però il versamento alla curatela dell’eventuale differenza

tra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso –
avvenute a valori di mercato – rispetto al credito residuo in linea capitale;
b) trattenere le somme già riscosse a titolo di canone11, applicandosi l’art. 67, terzo comma,

l.f. relativo all’esenzione della revocatoria per i pagamenti di beni e servizi effettuati
nell’esercizio dell’attività di impresa in termini d’uso (ovvero, la società di leasing ha
diritto a trattenere tutti i canoni già incassati, salvo l’individuazione di pagamenti
“anomali”);
c) insinuarsi allo stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento

e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
Quanto enunciato evidenzia, quindi, che, rispetto all’orientamento consolidatosi
precedentemente all’introduzione della novella legislativa nell’ambito della procedura
fallimentare, (i) pare delinearsi una disciplina unitaria, venendo meno la distinzione tra il

c.d. “leasing di godimento” ed il c.d. “leasing traslativo”, la quale comunque doveva essere
ben nota al Legislatore e (ii) sono stati previsti, in ogni caso, il diritto per il concedente di
trattenere i canoni già incassati nonché il diritto di ottenere la restituzione del bene per
realizzarne il valore.
Come era prevedibile, sono sorte delle questioni a livello interpretativo in merito alla
definizione di “credito residuo in linea capitale”, di “credito vantato alla data di fallimento”
Cfr. B. INZITARI, op. cit., pp. 2-3; M.R. LA TORRE, La disciplina del leasing nel fallimento e gli effetti sulla
qualificazione del contratto, Relazione svolta al Convegno di Udine del 16 ottobre 2009, pp. 2-4.
11 Cfr. B. INZITARI, op. cit. p. 3; M.R. LA TORRE, op. cit., p. 7.

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ed al momento in cui il concedente può insinuarsi allo stato passivo, elementi senz’altro
fondamentali per l’applicazione in concreto dei concetti espressi dalla norma.
La giurisprudenza e la dottrina maggioritaria stanno comunque orientandosi ad individuare
delle soluzioni unitarie, secondo le quali, in sintesi:
a) per “credito residuo in linea capitale” si intende il capitale compreso nelle sole rate con

scadenza successiva alla data della dichiarazione di fallimento e non anche le quote di
capitale delle rate scadute e non pagate fino a tale data;

b)
con “credito vantato alla data del fallimento” ci si riferisce alla somma delle quote di
capitale delle rate scadute e non pagate fino alla data della dichiarazione di fallimento,
unitamente agli interessi maturati sino a detto momento;

c)
la domanda di “insinuazione al passivo”può presentarsi anche prima della riallocazione
del bene sul mercato, purché sia condizionata a questo evento. Viene, inoltre, precisato
che l’importo oggetto di detta domanda deve essere quindi pari (i) alla somma delle rate
scadute e non pagate prima del fallimento oltre ai relativi interessi maturati, se il valore
di realizzo del bene è maggiore del capitale residuo in linea capitale, (ii) all’importo
precedente aumentato del valore del credito residuo in linea capitale rimasto
insoddisfatto, qualora quanto realizzato dalla riallocazione del bene sia minore del
credito residuo in linea capitale.

Da ultimo, l’art. 72-quater l.f. regola le conseguenze derivanti dal fallimento della società di
leasing. In tale ipotesi, il contratto prosegue e l’utilizzatore mantiene la facoltà di procedere
all’acquisto del bene alla scadenza pattuita, previo pagamento dei canoni e del prezzo
stabilito.

3.
Regolamentazione del contratto di leasing in ambito non fallimentare
L’introduzione di una normativa sullo scioglimento del contratto di leasing nel diritto
fallimentare rappresenta sicuramente, come osservato, una novità degna di nota per il nostro
ordinamento. La questione che ora sorge da tale intervento legislativo e che è oggetto di
dibattito tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza è costituita dalla applicabilità o meno
dei dettati previsti dall’art. 72-quater l.f. anche agli analoghi casi verificatisi nell’ambito delle
procedure concorsuali minori nonché alle risoluzioni in bonis, dovute all’inadempimento
dell’utilizzatore, di questa tipologia di contratto.

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In specie, le ipotesi e le alternative che si possono prevedere sono le seguenti:
a) la normativa in parola non trova mai applicazione al di fuori del fallimento;
b) la disciplina prevista dall’art. 72-quater l.f. regolamenta la risoluzione del contratto

soltanto qualora nel seguito l’utilizzatore venga dichiarato fallito;
c) le regole e gli effetti introdotti con la novella dal Legislatore hanno rilevanza sistematica

e disciplinano, per analogia, tutti i casi di scioglimento del contratto di leasing.

3.1. Orientamenti giurisprudenziali e dottrinali emersi in materia
L’argomento in parola è stato affrontato da numerosi tribunali trovatisi ad esprimere un
giudizio in merito a controversie sorte tra società di leasing ed utilizzatori; studiosi ed esperti
del settore hanno altresì fornito il proprio contributo con articoli e trattati sul punto.
Naturalmente diversi sono gli orientamenti che sono venuti a formarsi.
Nel sottolineare come l’art. 72-quater l.f. costituisca una disposizione che per la prima volta
disciplina, seppur in ambito fallimentare, la fattispecie illustrata, parte della dottrina12
sostiene che lo stesso debba certamente avere effetti sull’interpretazione e sulla
regolamentazione del contratto di locazione finanziaria in generale; secondo tale filone,
quindi, la norma è applicabile a tutti i casi di scioglimento del contratto di leasing a causa
dell’inadempimento dell’utilizzatore, indipendentemente da quali siano gli eventi
successivi13. Ciò sia per un’esigenza di certezza del diritto e di coerenza del sistema, sia
perché “il legislatore ha sancito l’esistenza di un solo tipo di locazione finanziaria con causa di
finanziamento, per cui la fattispecie da prendere in considerazione deve presentare analoga causa
finanziaria e non di scambio”14, come si avrebbe applicando l’art. 1526 cod. civ.. Nell’ottica di
coerenza del sistema, in particolare, l’assoggettamento a differenti disposizioni in relazione
al caso, non garantirebbe la medesima tutela alla società di leasing, alla quale verrebbe infatti
riconosciuto un risarcimento del danno minore qualora lo scioglimento del contratto
avvenisse per inadempimento dell’utilizzatore rispetto all’ipotesi di risoluzione intervenuta
a seguito del fallimento del medesimo. Ulteriore elemento a favore della tesi in oggetto
sarebbe la previsione di una disciplina specifica nel diritto fallimentare per la vendita con

12 Cfr. M.R. LA TORRE, op. cit..
13 Sia qualora l’utilizzatore venga poi dichiarato fallito, sia nei casi di soggetti in bonis.
14 M.R. LA TORRE, op. cit., p. 15.


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riserva di proprietà15 come rapporto giuridico pendente, distinta dalla fattispecie della
locazione finanziaria16. Dato, pertanto, il permanere dell’assenza di una normativa
dettagliata e completa per il contratto di leasing finanziario nel nostro ordinamento, secondo
questo orientamento dottrinale l’art. 72-quater l.f. rappresenterebbe “l’unico “caso simile” o
“materia analoga” da prendere in considerazione ai fini del ricorso all’analogia iuris ai sensi dell’art.
12, comma 2, disp. prel.”17.
Interessante è senza dubbio analizzare anche la posizione assunta dalla giurisprudenza, la
quale, tuttavia, ad oggi, si è espressa limitatamente ai casi di scioglimento del contratto di
leasing avvenuto per risoluzione prima della dichiarazione del fallimento. In maggior
dettaglio, va rilevato come sul punto siano emersi due orientamenti tra loro contrastanti.
Condivide l’indirizzo che ritiene applicabile alla fattispecie la disciplina stabilita dall’art. 72quater
l.f. e non già il dettato dell’art. 1526 cod. civ., previsto per la vendita con riserva di
proprietà, il Tribunale di Perugia. A fondamento della propria decisione, con la sentenza del
5 giugno 2012 tale Collegio sostiene che si debba andare oltre il senso che si ricava dalla
semplice lettura del testo dell’articolo in parola, giacché in base ad una valutazione basata
sulla ratio legis “l’ipotesi della risoluzione del contratto di leasing ante fallimento… può pertanto
dirsi solo apparentemente esclusa dal testo normativo”. Inoltre, aggiunge che “la circostanza che
allo scioglimento del contratto con riserva di proprietà il legislatore abbia dedicato una diversa
specifica disposizione (art. 73 l.f.) dimostra che non è possibile confondere le due figure contrattuali”.
Di medesimo avviso risulta essere il Tribunale di Udine, il quale, discostandosi da un
proprio precedente orientamento, nella pronuncia del 10 febbraio 2012 ha ritenuto “coerente
con il sistema e preferibile in termini di certezza di diritto – quanto meno nell’ambito della disciplina
dei rapporti contrattuali coinvolti in procedure concorsuali – un’applicazione analogica della norma di
cui all’art. 72-quater l.f., prevista per i rapporti pendenti, ai rapporti già risolti al momento della
dichiarazione di fallimento”. Le ragioni che suggeriscono tale estensione della norma risiedono
in primo luogo nella constatazione della stretta analogia esistente tra l’istituto della
“risoluzione” e quello dello “scioglimento” del contratto, comprovata, (i) nel periodo
antecedente all’introduzione della norma in esame, dal ricorso all’art. 1526 cod. civ. sia nei
casi di risoluzione ante fallimento, sia in ipotesi di scioglimento per opera del curatore in

15 Stabilita nell’art. 73 l.f..
16 Cfr. M.R. LA TORRE, op. cit., pp. 14-15.
17 M.R. LA TORRE, op. cit., p. 16.


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sede fallimentare nonché (ii) dalla previsione riportata nel “nuovo” art. 73 l.f. analoga a
quella già indicata nell’art. 1526 cod. civ.. Esigenze di coerenza del sistema costituiscono poi
la seconda motivazione del predetta decisione. Continuare ad applicare l’art. 1526 cod. civ.
per i contratti risolti, malgrado l’introduzione dell’art. 72-quater l.f., significherebbe ottenere
“l’assurdo risultato che, anche nell’ambito della stessa procedura fallimentare, alla società di leasing in
ipotesi di contratto risolto “ante” fallimento verrebbe riconosciuto un risarcimento inferiore a quello
riconosciuto in caso di scioglimento del rapporto ai sensi dell’art. 72-quater l.f., mentre il creditore
semmai deve avere una tutela maggiore nella prima ipotesi considerato che, essendosi il contratto già
risolto al momento del fallimento, gli spetta (a differenza del secondo caso) anche il risarcimento del
danno”. Il Tribunale di Udine evidenzia ancora che il novellato art. 72-quater l.f. ha previsto
una regolamentazione unitaria degli effetti dello scioglimento, attraverso l’eliminazione della
distinzione tradizionale tra “leasing traslativo” e “leasing di godimento” e dando, quindi,
prevalenza alla causa di finanziamento sulla causa di scambio delle due figure. Apparirebbe
di conseguenza alquanto “incongruente e incoerente rispetto al sistema, applicare all’ipotesi di
contratto di leasing già risolto la disciplina prevista per un contratto avente causa di scambio”.
Concordi con l’indirizzo sopra espresso sono altresì il Tribunale di Brescia18 ed il Tribunale
di Treviso19.
Come preannunciato, si è formato altresì in giurisprudenza un orientamento contrario
all’estensione della norma fallimentare20. In particolare, il Tribunale di Napoli nella sentenza
del 9 giugno 2010 afferma che alla fattispecie costituita dal contratto di locazione finanziaria
già risolto o per il quale sia comunque pendente l’azione di risoluzione alla data di
dichiarazione del fallimento non troverà applicazione la speciale disciplina del cui all’art. 72quater
l.f., ma si dovrà fare ricorso alla distinzione tra “leasing di godimento” e “leasing
traslativo” elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, con applicazione dell’art. 1526 cod.

civ. qualora ricorra il secondo tipo di contratto. Il Tribunale di Napoli ribadisce infatti di
aderire alla consolidata posizione della Suprema Corte in materia di leasing, “condividendo le
argomentazioni che la fondano e senza sia necessaria una loro rimeditazione”. Analoga posizione è
espressa dal Tribunale di Roma nella sentenza del 1° ottobre 2010, secondo cui qualora il
contratto di locazione finanziaria si sia risolto in data anteriore alla dichiarazione di
18 Sentenza 2 febbraio 2012.
19 Sentenza 6 maggio 2011.
20 Tribunale di Mantova 29 gennaio 2008, Tribunale di Roma 1° ottobre 2010 e Tribunale di Napoli 9 giugno 2010.


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fallimento – per effetto, nel caso esaminato, di comunicazione con la quale il concedente ha
manifestato l’intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa pattuita nell’accordo –
stante l’intervenuta risoluzione non si configura l’ipotesi di cui all’art. 72 l.f.21 in materia di
rapporti pendenti, secondo il quale il curatore è chiamato a decidere se procedere o meno
con lo scioglimento del contratto; di conseguenza, non si ricorre alle previsioni dell’art. 72quater
l.f. regolanti quest’ultima fattispecie. Altra opinione contraria alla possibilità di
applicare l’art. 72-quater l.f. alle risoluzioni contrattuali intervenute precedentemente alla
dichiarazione di fallimento rinviene nella pronuncia del 29 gennaio 2008 espressa dal
Tribunale di Mantova, nella quale si sottolinea che la norma in esame nel rimandare all’art.
72-quater l.f. “e dunque alla facoltà del curatore di sciogliere il contratto di leasing concluso dalla
società fallita presuppone necessariamente che il contratto non sia ancora risolto alla data del
fallimento – altrimenti non si spiegherebbe la facoltà di scioglimento del curatore”. Il Collegio
afferma, pertanto, che soltanto i contratti sciolti dal curatore sono disciplinati dal predetto
articolo.

4.
Riflessioni e considerazioni sull’estendibilità dei principi stabiliti dalla normativa
fallimentare alle risoluzioni in bonis del contratto di leasing
Come si è avuto modo di osservare, sulla materia in esame dottrina e giurisprudenza di
merito si sono divise senza giungere ad oggi ad un approdo unitario o chiaramente
prevalente. La giurisprudenza di legittimità non si è ancora espressa, anche se vale la pena di
ricordare che, tuttora, in recentissime pronunce, pur riferite a fattispecie anteriori
all’introduzione della nuovo art. 72-quater l.f., la stessa continui ad affermare, senza
tentennamenti, l’applicazione dell’art. 1526 cod. civ. alle ipotesi di risoluzione del contratto
di leasing22.

L’art. 72 l.f. dispone al comma 1 “Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da
entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte
salve le diverse disposizioni presenti nella presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con
l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo
tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto
il trasferimento del diritto.”.
22 Cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 19732/2011, nella quale è stato sancito che, in tema di leasing traslativo,
“in caso di risoluzione anticipata ancorché imputabile ad inadempimento dell’utilizzatore… la disciplina applicabile alla
fattispecie è proprio quella dettata dalla menzionata norma di cui all’art. 1526” – ribadito essere inderogabile – “che
prevede la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo indennizzo per il godimento da parte

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In effetti, sembra ragionevole rilevare che molti argomenti militino a favore della non
estendibilità dei parametri previsti dalla nuova normativa a fattispecie estranee alla
risoluzione in ambito endofallimentare dei contratti di locazione finanziaria, alcuni dei quali
già enucleati dalla giurisprudenza – si veda il precedente paragrafo – altri, non meno degni
di nota, che meritano di essere approfonditi.
In primo luogo, è opportuno segnalare che certe pronunce e gli orientamenti dottrinali citati
favorevoli all’applicazione estesa della nuova normativa ritengono di identificare la ratio
giustificatrice di tale interpretazione nella ora riconosciuta “causa finanziaria” del contratto
di leasing. A dire il vero, non pare che dal mero riconoscimento di questa causa contrattuale
debba conseguire detta vis attractiva, e, comunque, è tutt’altro che pacifico che la causa del
contratto di leasing sia “di finanziamento”. Si rinvengono, infatti, autorevoli opinioni23 che
hanno sottolineato come tale negozio sia iscrivibile tra i contratti di scambio24, data la “mutua

o corrispettiva prestazione …, da una parte, del periodico versamento dell’utilizzatore di un compenso,
determinato… e, dall’altra, della continuativa e correlativa messa disposizione del bene, da parte del
concedente, che certamente non si esaurisce uno actu, con la semplice dazione del bene”25. Secondo
tale opinione, quindi, il finanziamento costituirebbe solo la “funzione” del contratto e non
già, come evidenziato, la “causa”. Il diritto fallimentare, peraltro, mal si presterebbe ad
individuare una specifica scelta in proposito del Legislatore, essendo una normativa di
settore26. Anzi, anche nel ristretto ambito fallimentare, il disposto dell’art. 72–quater l.f. non
consente di affermare che sia stata riconosciuta la causa finanziaria del contratto di leasing.
Detta norma, infatti, introduce una disciplina dello scioglimento coerente con la natura
finanziaria di tale contratto, ma, al contempo, con riferimento al subingresso nel negozio
dell’utilizzatore in ragione, appunto, dell’utilizzo dei beni, tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la
quota destinata al trasferimento finale di essi.”.
23 V.ZANICHELLI, Soddisfazione fuori dal concorso del concedente del bene dato in leasing e modalità di insinuazione al
passivo, in Fallimento, 2012, 1, p. 68; A. PATTI, Crediti da contratto di leasing tra risoluzione e pendenza del rapporto, in
Fallimento, 2007, 7, p. 821; A. LUMINOSO, La compravendita, IV, Giappichelli Editore, 2009; V. BUONOCORE,
Contratti di impresa, a cura di V. BUONOCORE, A. LUMINOSO, Giuffrè, 1993, pp. 42 e ss..
24 Tesi, peraltro, da sempre avvalorata dalla giurisprudenza di legittimità (si veda, tra le più recenti, Corte di
Cassazione, sentenza n. 5552/2003).
25 A. PATTI, ibidem.
26 V. ZANICHELLI, ibidem; V. BUONOCORE, La locazione finanziaria, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto
da Cicu, Messineo, Mengoni e Schlesinger, XXV, 2, Giuffrè, 2008, p. 348 e ss..


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giuridico, regola la prosecuzione del rapporto ed il trasferimento del bene all’utilizzatore in
modo del tutto coerente con la qualificazione del contratto di scambio27.
Inoltre, ai fini dell’estendibilità della nuova norma, taluni valorizzano il fatto che
l’introduzione dell’art. 72-quater l.f. avrebbe determinato il configurarsi di un quadro
sistematico della disciplina della risoluzione del contratto di locazione finanziaria, il quale,
per coerenza, potrebbe produrre effetti anche fuori dai ristretti ambiti fallimentari, non
esistendo motivazioni per regolamentare altri contesti in modo diverso rispetto a quello
fallimentare; in realtà si evidenziano fondati elementi che smentirebbero questo risultato. In
specie, se ciò fosse vero, la normativa dovrebbe riservare uguale trattamento nei casi di
risoluzione del contratto di leasing avvenuti in un momento antecedente alla dichiarazione
del fallimento stesso. Invece, viene ribadito28 che in tali casi “essendosi il contratto già risolto al
momento del fallimento” spetta al locatore (diversamente da quanto previsto dall’art. 72 –
quater l.f.) “anche il risarcimento del danno”. Va aggiunto poi che nell’ambito della recente
regolamentazione della procedura di concordato preventivo – contenuta sempre nella legge
fallimentare – l’art. 169-bis l.f. dispone per i contratti da cui il debitore concordatario si
sciolga – e quindi anche per il contratto di locazione finanziaria – il diritto del contraente in
bonis ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato
adempimento, da soddisfare come credito anteriore al concordato. Già all’interno della
medesima normativa si rinvengono, pertanto, due eccezioni ad una regolamentazione della
materia che dovrebbe essere “unitaria e sistematica”. Conseguentemente, l’estensione dei
principi stabiliti dall’art. 72-quater l.f. a qualsiasi ipotesi di scioglimento del contratto in
parola – ma con la naturale applicazione di correttivi caratterizzanti tali diverse situazioni –
comporterebbe, ogni qual volta la normativa dovesse applicarsi “zoppa”, il crearsi di
situazioni di squilibrio delle prestazioni delle parti, con indebito vantaggio del concedente (il
quale, oltre alla restituzione del capitale, potrebbe vantare ulteriori risarcimenti danni);
proprio lo squilibrio a favore del concedente – che è stato peraltro sempre sanzionato dalla
giurisprudenza di legittimità tramite l’applicazione dell’art. 1526 cod. civ. alle risoluzioni dei
contratti di leasing “traslativo” – troverebbe quindi nuovamente applicazione, tra l’altro,

27 A. PATTI , Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa, in Fallimento, 2, 2007, p. 139.
28 In tal senso, Tribunale di Udine sentenza citata.

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anche nelle ipotesi di recesso in ambito concordatario, a dispetto del noto favor riservato dal

Legislatore a queste procedure29.

D’altro canto si deve considerare che l’art. 72-quater l.f. è incentrato “sulla scissione (non

riproducibile al di fuori del fallimento) tra credito regolabile fuori concorso e credito insinuabile al

passivo30”, elemento che ha portato autorevole dottrina31 ad escludere l’applicazione del

citato articolo fuori del fallimento.

Da ultimo, e sotto un profilo prettamente sistematico, va rilevato come la disciplina in

oggetto sia stata introdotta in una legge speciale, quale quella fallimentare, che proprio in

quanto tale è volta a regolare una specifica materia, derogando alla normativa generale per

esigenze legate alla natura stessa dell’ambito regolamentato. Quest’ultimo, in specie, è

costituito dalle circostanze di crisi e di dissesto dell’imprenditore commerciale, eventi quindi

“straordinari” che richiedono tutele e provvedimenti diversi rispetto alla “normalità”. L’art.

72-quater l.f., in particolare, è posto nella sezione dedicata agli effetti del fallimento sui

rapporti giuridici preesistenti; si tratta, pertanto, di un contesto in cui vengono disciplinati

determinati contratti che tuttavia trovano altrove la propria (diversa) disciplina generale –

ovvero in leggi o contratti, per i negozi atipici. Le norme collocate nella predetta sezione

sono destinate a regolare specificatamente tali contratti in una situazione di dissesto

29 La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere come gli interventi normativi susseguitisi negli
ultimi anni, e che hanno reso la procedura concordataria estremamente efficiente, siano stati ispirati dalla ratio di
evitare, ove possibile, che le crisi di impresa si risolvessero con il fallimento e con la dissoluzione dell’impresa.
In effetti – come affermato dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, nella sentenza n. 1521/2013 – l’“obiettivo
di fondo perseguito dal legislatore è univocamente ed incontestabilmente individuabile nel superamento dello
stato di crisi dell’imprenditore, obiettivo ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell’interpretazione
della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di privilegiare
soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali,
altrimenti destinata d un inevitabile quanto inutile depauperamento”. In tal senso, quindi, non appare congruo
ritenere che per i contratti di leasing sciolti in ambito concordatario possa trovare applicazione la penalizzante
normativa introdotta nel fallimento dall’art. 72-quater, congiuntamente con il risarcimento del danno sancito
dall’art. 69-bis.

30 Cfr. L. QUAGLIOTTI, Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti
insinuabili, in Fallimento, 2010, 7, p. 808 e ss..
31 L. QUAGLIOTTI, ibidem; del medesimo avviso è B. INZITARI, secondo cui “sulla base della previsione contenuta
nel 5° comma del nuovo art. 72 l. fall, che rende opponibile al curatore la risoluzione del contratto avviata prima del
fallimento, quest’ultimo potrebbe chiedere la restituzione dei canoni pagati dall’utilizzatore poi fallito, salvo l’equo compenso,
poiché non trova applicazione l’art. 72-quater l.fall.” in Nuove riflessioni in tema di leasing nella disciplina dei rapporti
pendenti della novella fallimentare (art. 72 quater l.fall.), in www.ilcaso.it, p. 11. Va segnalato, altresì, che il Tribunale di
Udine, nella sentenza citata, asserisce come rimanga “certo da verificare se tale unità – riferendosi al venir meno
della distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo – può essere riconosciuta anche al di fuori della procedura
concorsuale o meglio se anche fuori da una procedura fallimentare possa trovare applicazione in via analogica l’art. 72-quater
l.f.”.

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dell’imprenditore e non mirano, dunque, ad integrarne la definizione in un ambito
extraconcorsuale. Anzi, la specialità degli artt. 72 e seguenti l.f. emerge in tutta evidenza,
poiché già all’interno della stessa legge fallimentare si può riscontrare l’assenza della finalità
di disciplina “generale” delle predette disposizioni. Basti pensare al trattamento dei rapporti
pendenti nel concordato preventivo, una delle procedure regolate da tale legge. Al riguardo,
è senza dubbio rilevante il pensiero unanime venutosi a formare tanto in giurisprudenza,
quanto in dottrina32 che ha sempre ritenuto inapplicabili l’art. 72 e seguenti l.f. ai contratti
pendenti nel concordato preventivo e ciò poiché “prevale la funzione conservativa di questa
procedura, mirata espressamente a consentire la prosecuzione dell’attività e, quindi, il superamento
della crisi, come indirettamente confermato anche dallo spossessamento attenuato subìto
dall’imprenditore”33. Detti rapporti, pertanto, “continueranno ad essere eseguiti al di fuori del
concorso, secondo le ordinarie regole civilistiche e, quindi, anche in presenza di ammissione
dell’impresa a tale procedura, questi negozi proseguiranno senza necessità di alcuna autorizzazione del
giudice delegato”34. Ed, infatti, stante il drammatico impatto che i contratti in corso di
esecuzione potevano avere nell’ambito concordatario, il Legislatore è dovuto recentemente
intervenire disciplinando il recesso dagli stessi, dando la possibilità – tramite apposita
autorizzazione – di evitare la prosecuzione senza soluzione di continuità dei rapporti
pendenti (art. 169-bis l.f., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, come modificato dalla l. di
conversione 7 agosto 2012, n. 134).

5. Conclusioni
L’introduzione di una specifica disciplina dello scioglimento del contratto di locazione
finanziaria nell’ambito del diritto fallimentare, pur rappresentando indubbiamente un
evento di rilievo, ha lasciato tuttavia alcune questioni irrisolte.

Cfr. G. BONFANTE, La disciplina del leasing nel concordato preventivo in Il Fallimentarista, Giuffrè Editore, 9
dicembre 2011; S. AMBROSINI, Il Concordato Preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto
commerciale diretto da G. COTTINO, Volume XI, Tomo I, Cedam, 2008, p. 98 e ss.; F. FIMMANO’, Gli effetti del
nuovo concordato preventivo sui rapporti in corso di esecuzione, in www.ilcaso.it, 17 gennaio 2007; P.F. CENSONI, sub
art. 168, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da A. JORIO, Bologna, 2007, p. 2422; A. PATTI, La
disciplina dei rapporti giuridici preesistenti nel nuovo concordato preventivo, in Il Fallimento, 2010, p. 261; A. MAFFEI
ALBERTI, op. cit., p. 968; D. GALLETTI, Il trattamento del leasing nel concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it,
Giuffè Editore, 25 gennaio 2012.
33 G. BONFANTE, op. cit., p. 1.
34 G. BONFANTE, ibidem.

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In specie, come è stato notato, la difficile lettura del testo della norma ha fatto sorgere
incertezze in merito al corretto significato da attribuire ai vari termini indicati, anche se, va
evidenziato, che tale difficoltà ora è stata in gran parte superata, in virtù degli interventi
giurisprudenziali.
A ciò si deve aggiungere come la mancata regolamentazione espressa dei casi
extrafallimentari di risoluzione dei contratti di leasing costituisca un altro elemento che sta
creando confusione tra gli operatori, non essendo chiaro a quale interpretazione si debba
aderire. A tal proposito, dalle osservazioni e dalla riflessioni riportate, si propende per la non
applicabilità dell’art. 72-quater l.f. alle ipotesi di scioglimento verificatesi fuori dal contesto
fallimentare – che resterebbero pertanto disciplinate in conformità ai principi sanciti dall’art.
1526 del codice civile – ma rimane, in ogni caso, la perplessità nel riscontrare come il
Legislatore non abbia colto l’occasione per regolamentare compiutamente la materia,
lasciando, nuovamente, alla giurisprudenza il compito di individuarne i vari aspetti e, di
conseguenza, di determinarne la corretta disciplina.

Relatori del documento:
Renato Bogoni
Sandra Sommavilla

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