domenica 6 maggio 2012

LA RESPONSABILITA' ERARIALE PER PERDITE DELLA CONTROLLATA COMUNALE

Riportiamo la Sentenza della Corte dei Conti della Liguria che attribuisce ai vertici del Comune e della società controllata  comunale la responsabilità per danno erariale in conseguenza della mala gestio della società,  che ha portato  perdite  all'Ente locale. 



CORTE DEI CONTI -SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA LIGURIA

sent. n. 153 del 14/06/2011

Presidente: SALAMONE Tommaso
Estensore: MALTESE Pietro

Sent. n. 153/2011

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA LIGURIA



composta dai seguenti magistrati
dott. Tommaso SALAMONE     Presidente
dott.ssa Maria RIOLO     Giudice
dott. Pietro MALTESE     Giudice estensore
ha pronunciato la seguente
                                             SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n°18878 del registro di segreteria, promosso dalla Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale nei confronti dei signori:
Pericu Giuseppe, rappresentato e difeso dall’Avv. Lorenzo Acquarone, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Genova, Via Corsica n. 21/20;
Ghio Alberto, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giovanni Gerbi e Ilaria Greco, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Genova, Via Roma n. 11/1;
Facco Giovanni, rappresentato e difeso dagli Avv.ti M. Alberto Quaglia e Rosa Pellerano, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Genova, Via Roma n. 3/9;
Profiti Giuseppe, rappresentato e difeso dall’Avv. Piergiorgio Alberti, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Genova, Via Corsica n. 2;
Merella Arcangelo, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Mario Bucello e Maurizio Cafagno, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo difensore in Genova, Corso Aurelio Saffi n. 7;
Musso Enrico, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maurizio Zoppolato e Silvia Sommazzi, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Genova, Via XII Ottobre Corsica n. 10/13;
Vezzani Marco, Sani Angelo, Seccacini Giovanni Battista Carbone Michele Dino, rappresentati e difesi dall’Avv. Luigi Cocchi, elettivamente domiciliati presso il suo studio in Genova Via Macaggi n. 21/8;
Visti gli atti e i documenti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 25 gennaio 2011 il relatore, Cons. Pietro Maltese, il rappresentante del Pubblico Ministero, nella persona del Procuratore regionale dott. Ermete Bogetti, e gli Avvocati Lorenzo Acquarone per Pericu Giuseppe, Giovanni Gerbi per Ghio Alberto, Mario Alberto Quaglia per Facco Giovanni, Pier Giorgio Alberti per Profiti Giuseppe, Maurizio Cafagno per Merella Arcangelo, Luigi Cocchi per Vezzani Marco, Sani Angelo, Carbone Michele Dino, Seccacini Giovanni Battista, e Alessandro Comparoni, su delega dell’Avv.   Maurizio Zoppolato, per Musso Enrico;
                                              FATTO
Con atto di citazione depositato in data 3 marzo 2010 la Procura regionale presso questa Sezione ha convenuto in giudizio Pericu Giuseppe, Ghio Alberto, Facco Giovanni, rispettivamente Sindaco, Vice Sindaco ed Assessore del Comune di Genova all’epoca dei fatti, nonché Profiti Giuseppe, Merella Arcangelo, Vezzani Marco, Musso Enrico, Sani Angelo, Carbone Michele Dino, Seccacini Giovanni Battista in qualità di amministratori della A.M.I. (Azienda Mobilità ed Infrastrutture) S.p.a. partecipata dal Comune di Genova al 100%, per sentirli condannare al risarcimento del danno erariale di € 9.416.185,53, a favore del Comune di Genova.
Espone la Procura contabile che, con delibera del 25 maggio 2004, il Consiglio comunale di Genova deliberava la scissione della A.M.T. (Azienda Mobilità e Trasporti) S.p.a., società di gestione del servizio di trasporto pubblico partecipata al 100% dal Comune, in due società distinte, A.M.T. S.p.a. ed A.M.I.(Azienda Mobilità e Infrastrutture) S.p.a., aventi anch’esse come unico azionista lo stesso Comune.
La scissione era finalizzata alla creazione delle condizioni più favorevoli per l’ingresso nell’azienda di trasporto pubblico di un partner strategico di minoranza, operazione ritenuta necessaria per arginare lo stato di grave dissesto finanziario di A.M.T. ed avviare l’opera di risanamento e sviluppo della società attraverso il coinvolgimento nella gestione del nuovo socio industriale.
La A.M.T. S.p.a. conservava la proprietà dei mezzi di trasporto e provvedeva alla gestione del servizio, mentre all’A.M.I. S.p.a., destinataria della proprietà degli impianti e delle infrastrutture, venivano dal Comune affidati il servizio di manutenzione del parco mezzi di proprietà di A.M.T., strumentale all’attività di trasporto, nonché compiti ulteriori all’interno di un più ampio progetto in materia di mobilità metropolitana.
Effettuata l’operazione di scissione, il Comune deliberava la procedura di selezione ad evidenza pubblica per la scelta del socio di minoranza di A.M.T. cui cedere il 41% del capitale sociale di quest’ultima.
Nell’ambito della procedura di gara venivano trasmessi ai partecipanti anche gli schemi dei c.d. contratti intercompany, destinati a regolare la fornitura di servizi reciproci da parte delle due società, con allegata una “scala dei valori a saldo” nella quale erano stabiliti (dal Comune) i corrispettivi forfetari annualmente dovuti da A.M.T. ad A.M.I.
Detti corrispettivi forfetari venivano fissati in 18.000.000,00 di euro per l’anno 2005, mentre per gli anni successivi era prevista una riduzione di 1.000.000,00 di euro all’anno, fino ad arrivare a 13.000.000,00 di euro per il 2010. A tale proposito il Comune si impegnava a far sì che le due società provvedessero a sottoscrivere, previa approvazione da parte dei rispettivi C.d.A., i contratti in parola.
Vincitore della gara risultava il raggruppamento di imprese formato dalla TRANSDEV S.A. per il 95% e dalla Auto Guidovie Italiane S.p.a. per il 5%.
In data 12 agosto 2005, in sede di assemblea ordinaria dell’A.M.I. il vice Sindaco dott. Alberto Ghio comunicava l’esito della procedura di selezione del socio privato, specificando che l’acquisto delle azioni da parte della cordata TRANSDEV era subordinato all’approvazione dei contratti intercompany tra A.M.T. ed A.M.I. e precisando che tale approvazione costituiva specifica direttiva dell’azionista unico, nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. Il vice Sindaco Ghio rivolgeva, pertanto, formalmente al consiglio di amministrazione dell’A.M.I. l’invito a deliberare in tal senso, assicurando, nel contempo, la volontà del Comune di “mantenere comunque positivo nel tempo il patrimonio netto della società, nel rispetto della vigente normativa in tema di impegni di spesa delle civiche amministrazioni”.
Dopo avere chiesto un parere legale in merito, il C.d.A. dell’A.M.I. nell’adunanza del 19 settembre 2005 deliberava di approvare i contratti intercompany, dando mandato all’amministratore delegato di sottoscriverli.
Secondo la Procura attrice, i corrispettivi stabiliti per l’erogazione di servizi reciproci tra A.M.T. ed A.M.I. fissati in sede di gara e relativi essenzialmente al servizio manutenzioni dei mezzi di trasporto, erano assolutamente insufficienti a remunerare il livello minimo dei costi sostenuti da A.M.I., individuato dalla società di consulenza T–Bridge in 18 milioni di euro annui, pari, tra l’altro, al corrispettivo annuo stabilito, salvo conguaglio, dagli accordi esistenti tra le due società nel periodo antecedente alla gara.
Le perdite di A.M.I. conseguenti alla diminuzione dei ricavi sono, pertanto, dalla Procura quantificate, per gli anni 2006, 2007 e 2008, in almeno 6 milioni di euro, corrispondenti alla differenza tra l’ammontare dei corrispettivi precedentemente stabiliti di 18 milioni di euro e quello annualmente decrescente pattuito in 17, 16 e 15 milioni di euro (1 milione per il 2006, 2 milioni per il 2007 e 3 milioni per il 2008).
Tali perdite, secondo la Procura attrice, costituiscono per il Comune, titolare unico della partecipazione e più volte costretto a ripianarle, danno erariale di cui vengono chiamati a rispondere per l’intero ed in solido il Sindaco Giuseppe Pericu, nella sua qualità di rappresentante del Comune socio unico di A.M.I. nonché di dominus dell’intera vicenda che ha portato alla costituzione della predetta società ed alla cessione di una quota di minoranza di A.M.T. al privato, ed il vice Sindaco Ghio, per avere nell’assemblea di A.M.I. del 12 agosto 2005, in qualità di rappresentante dell’azionista unico, formalmente invitato il Consiglio di amministrazione a deliberare l’approvazione dei contratti intercompany, precisando che tale adempimento costituiva specifica direttiva dell’azionista.
Vengono, inoltre, chiamati a rispondere dello stesso danno, fino alla concorrenza per ognuno di € 200.000,00, i membri del CDA dell’AMI S.p.a. (Profiti, Merella, Sani, Musso e Vezzani) che nella seduta del 19 settembre 2005 hanno approvato i suddetti contratti.
Un ulteriore profilo di danno viene dalla Procura individuato a seguito dell’accordo denominato “Closing memorandum” intervenuto in data 18 novembre 2005 tra il Comune e i componenti della cordata che si era aggiudicata la gara. Al paragrafo 4 di detto accordo, le parti, premesso che i contratti intercompany presentavano “alcune imprecisioni e ambiguità interpretative”, si impegnavano, infatti, a fare in modo che fossero inserite in detti contratti, già conclusi, le seguenti precisazioni ed integrazioni indicate nell’allegato 4) al predetto “Closing Memorandum”:
1) “eventuali incrementi del corrispettivo a favore di AMI per le attività di manutenzione conseguenti alla messa in servizio della linea aerea fuori servizio e/o conseguenti alle estensioni della attuale rete filoviaria saranno compensati con una corrispondente riduzione di altre voci di costo a carico di AMT previste nei contratti intercompany;
2) le clausole di adeguamento ISTAT dei corrispettivi saranno applicabili solo se, e nella misura in cui, non compromettano la scala di valori dei saldi di cui all’Allegato 1.02 del contratto;
3) l’art. 7.4 e 10.1.1.b) del contratto intercompany n. 3 sarà modificato specificando che il compenso (di 210.000 euro annui) per la manutenzione ordinaria e straordinaria della linea e dell’armamento della ferrovia Principe Granarolo sia ricompreso nel corrispettivo di cui all’art. 10.1.1.a) di tale contratto intercompany;
4) In relazione al saldo dei corrispettivi complessivamente dovuti da AMT ad AMI in forza dei contratti intercompany, non sono compresi nella “scala di valori a saldo” contenuta nell’Allegato 1.02 al contratto i corrispettivi dovuti da AMT a qualsivoglia titolo, con la sola eccezione dei corrispettivi dovuti da AMT per la riparazione degli autobus oggetto di sinistri per colpa di AMT (c.d. sinistri passivi) e i corrispettivi integrativi dovuti per la manutenzione degli autobus con età pari o superiore a 10 anni.”
L’AMI veniva informata dal Comune con lettere dell’8.11.2005 e del 30.12.2005 del contenuto del “Closing memorandum” ed invitata a conformare le clausole dei contratti intercompany a quelle del suddetto documento.
Nella seduta dell’assemblea ordinaria dell’A.M.I. dell’11 gennaio 2007 l’assessore Facco, in rappresentanza del Comune, invitava formalmente la società a recepire i contenuti dell’accordo, precisando che tale adempimento costituiva una specifica direttiva dell’azionista. Il Consiglio di amministrazione dell’A.M.I provvedeva nel senso indicato dall’azionista nell’adunanza del 26 ottobre 2007.
Secondo la Procura contabile, le modifiche ai contratti intercompany apportate con il più volte citato “closing memorandum” sottoscritto dal Sindaco e dai rappresentanti della cordata TRANSDEV, hanno cagionato alla società perdite aggiuntive per un ammontare di € 3.416.185,53, derivanti dalla mancata fatturazione di corrispettivi contrattualmente dovuti e, quindi, un ulteriore danno erariale per il Comune, socio unico dell’A.M.I., di pari ammontare.
Di tale danno, vengono chiamati a rispondere, per l’intero ed in solido, il Sindaco Pericu e l’assessore Giovanni Facco, il primo per avere sottoscritto il “closing memorandum” ed il secondo per avere nell’assemblea di A.M.I. dell’11 gennaio 2007, in qualità di rappresentante dell’azionista unico e nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, chiesto formalmente al consiglio di amministrazione della società di deliberare l’approvazione delle clausole di cui all’allegato 4) del “closing memorandum”, precisando che la richiesta costituiva specifica direttiva dell’azionista unico.
Dello stesso danno e fino alla concorrenza per ognuno di € 100.000,00 vengono, inoltre, chiamati a rispondere i membri del CDA dell’AMI S.p.a. Vezzani, Carbone, Sani e Seccacini, che hanno approvato le integrazioni de quibus nella seduta del 26 ottobre 2007.
Tutti i convenuti si sono costituiti con articolate memorie.
La difesa del Sindaco prof. Pericu, dopo aver messo in luce la situazione del trasporto pubblico a Genova e le vicende che hanno portato il Comune a decidere la scissione di AMT in due società, entrambe totalitariamente partecipate dal Comune stesso, e l’ingresso di un socio di minoranza con il quale condividere la gestione del servizio, evidenzia che il progetto di ristrutturazione della società di trasporto pubblico esigeva che la società affidataria della gestione garantisse un immediato equilibrio economico e che la stessa non potesse, pertanto, essere gravata da costi impropri, di cui doveva farsi carico il Comune.
La difesa ritiene, quindi, che la valutazione dei c.d. contratti intercompany, individuati dalla Procura contabile quali elementi da cui ha origine il danno di 6.000.000,00 di euro contestato agli odierni convenuti, debba essere effettuata in questo contesto.
Fatta questa premessa di carattere generale, vengono avanzate dalla difesa del Sindaco e dai difensori degli altri convenuti le seguenti eccezioni:
1)Nullità della citazione per violazione dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. 1 luglio 2009 n. 78, in quanto l’istruttoria da parte della Procura contabile sarebbe stata avviata in mancanza di una notizia di danno “specifica e concreta” (difese Pericu, Facco, Ghio, Merella, Profiti, Sani, Musso, Vezzani, Carbone e Seccacini);
2)Improcedibilità dell’azione per tardiva emissione dell’atto di citazione che si sostiene depositato oltre il termine di 120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni da parte del presunto responsabile del danno, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito con modif. nella legge 14 gennaio 1994 n. 19 (difese Pericu, Facco e Ghio);
3)Carenza di giurisdizione per riserva di amministrazione di cui all’art. 1 della legge 14 gennaio 1994 n.20 e insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali (difese Pericu, Facco, Ghio, Merella, Sani, Musso, Vezzani, Carbone e Seccacini);
4)Carenza di giurisdizione della Corte dei conti, trattandosi di danni eventualmente arrecati dagli amministratori direttamente ad una società di capitali partecipata da enti pubblici e solo mediatamente al soggetto politico socio della stessa (difese Pericu, Facco, Merella, Musso, Profiti, Sani, Vezzani, Carbone e Seccacini;
5)difetto di danno erariale (difese Pericu, Facco, Ghio, Merella);
6)assenza di dolo o colpa grave (tutti);
6)assenza del nesso di causalità tra le modifiche dei contratti intercompany a seguito del closing memorandum e l’eventuale danno (difese Pericum e Facco);
7)assenza del nesso di causalità tra la direttiva all’assemblea dell’A.M.I. e l’eventuale danno (difese Pericu, Facco, Ghio, Profiti);
8)in ogni caso richiesta di esercizio del potere riduttivo dell’addebito.
L’Avv. Piergiorgio Alberti, in difesa di Giuseppe Profiti, presidente del consiglio di amministrazione di A.M.I. S.p.a. dal dicembre 2004 al novembre 2005, e gli Avvocati Sommazzi e Zoppolato, per il convenuto Enrico Musso, componente del consiglio di amministrazione di A.M.I., eccepiscono inoltre:
- che il Comune, quale unico azionista, esercitava su A.M.I., società in house, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (ex art.113 del DLGS n. 267/2000, come modificato dalla legge n. 326/2003), con una influenza dominante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società;
- che A.M.I. non aveva fissato autonomamente i contenuti economici dei contratti intercompany, ma aveva recepito precise e vincolanti direttive formulate dal Comune nell’esercizio dei propri poteri di direzione e coordinamento ex art. 2497, cod. civ.;
- che gli stessi contratti non erano svantaggiosi per A.M.I., tenuto conto della peculiarità della situazione, ed erano in linea con accordi vigenti in realtà analoghe e con l’obiettivo di ridurre i costi aziendali, nell’ottica di una corretta gestione della spesa pubblica;
- che l’eventuale danno dovrebbe essere ridotto in misura pari alla quota del socio pubblico (59%), per tenere conto del vantaggio ottenuto dal Comune quale socio di maggioranza della A.M.T.;
- che in ogni caso non sussisterebbe l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, necessario per affermare la responsabilità erariale;
In particolare, la difesa del Profiti eccepisce che essendo quest’ultimo cessato dalla carica nel novembre del 2005, allo stesso non possa essere addebitata alcuna responsabilità con riferimento alle modifiche successivamente apportate ai contratti intercompany per effetto del closing memorandum.
L’Avv. Cocchi in difesa degli amministratori di A.M.I. VEZZANI, SANI, SECCACINI, CARBONE rileva l’assenza di irrazionalità nei comportamenti e nelle determinazioni assunte dagli amministratori di A.M.I.
Secondo il difensore, la scelta di approvare i contratti intercompany con corrispettivi per la manutenzione dei mezzi di A.M.T. non remunerativi dei costi sostenuti è stata, infatti, assunta in ottemperanza alle indicazioni vincolanti del rappresentante in assemblea del socio unico, ai sensi dell’art. 2497 del c.c., era supportata da una specifica consulenza legale che si era espressa per la legittimità dell’approvazione e, soprattutto, è stata adottata a seguito dell’ “obbligazione giuridicamente rilevante” del Comune di garantire l’integrità patrimoniale della società e la reintegrazione del capitale sociale a seguito delle perdite.
Analoghe considerazioni la difesa dei convenuti svolge con riferimento all’approvazione delle modifiche delle clausole contrattuali a seguito del “closing memorandum”. In particolare, appare alla difesa privo di fondamento l’assunto della Procura circa la consapevolezza della dannosità dell’atto deliberativo da parte degli amministratori, desunta dal lungo lasso di tempo trascorso tra l’assemblea del 26 gennaio 2007 e la delibera approvativa del 26 ottobre 2007. A tal proposito la difesa sostiene che il tempo trascorso tra l’assemblea e la delibera è stato utilizzato sia per proporre ad A.M.T. alcune modifiche rispetto al closing, modifiche che nonostante lunghe trattative con la stessa società non sortirono risultati concreti, sia per verificare le modalità di assorbimento delle perdite di bilancio conseguenti ai minori introiti contrattuali, attraverso l’elaborazione di nuovi piani industriali inviati al Comune e non approvati.
Per quanto, infine, attiene al profilo soggettivo della colpa grave la difesa dei convenuti ritiene che la stessa dovrebbe ritenersi esclusa per effetto della richiesta consulenza legale e della sostanziale vincolatività degli indirizzi espressi in sede assembleare dal socio unico, ai sensi del 2497 del c.c. che, se non vale in assoluto a scriminare la responsabilità degli amministratori ex art. 2381 bis del c.c., certamente è idonea ad escludere la colpa grave propria della responsabilità amministrativa. Con riferimento, in particolare, alla posizione dell’amministratore Michele Dino Carbone, il difensore evidenzia che quest’ultimo non ha partecipato alla votazione delle delibere di approvazione dei contratti intercompany e delle clausole del “closing memorandum” e, quindi, nulla può essergli addebitato.
All’udienza del 7 ottobre 2010 il P.M., tenuto conto che dalle memorie di costituzione dei convenuti erano emersi alcuni profili meritevoli di considerazione, formulava al Collegio, in via preliminare, una richiesta di rinvio dell’udienza di trattazione, finalizzata a rimodulare le richieste di risarcimento del danno da parte dei convenuti ed alla precisazione delle conclusioni.
I convenuti non si opponevano alla richiesta attorea ed il Collegio disponeva il rinvio della causa all’udienza del 25 gennaio 2011.
All’esito di detto rinvio la Procura, con memoria depositata in data 6 dicembre 2010, riconosce che la fissazione di un corrispettivo annuo forfetario che copriva solamente una parte dei costi sostenuti da A.M.I. aveva lo scopo di fare conseguire ad A.M.T. un immediato equilibrio di bilancio e di rendere appetibile al potenziale partner privato l’acquisizione di una partecipazione nella predetta società, ritenuta necessaria per allontanare la prospettiva di un imminente fallimento dell’azienda di trasporto pubblico locale.
La Procura, con riferimento al primo profilo di danno di 6.000.000,00 di euro, ritiene, pertanto, di potere convenire con le prospettazioni della difesa dei convenuti, secondo cui l’operazione suddetta può essere ricondotta nell’ambito delle scelte discrezionali e non abnormi dell’Amministrazione, come tali sottratte alla valutazione del giudice contabile, e chiede che i convenuti Pericu Giuseppe, Ghio Alberto, Merella Arcangelo, Musso Enrico, Profiti Giuseppe, Sani Angelo e Vezzani Marco vengano prosciolti dagli addebiti conseguenti.
Per quanto, invece, attiene all’ulteriore profilo di danno derivante dalla modifica di alcune clausole dei contratti intercompany e dalla rinuncia alla percezione dei corrispettivi relativi a specifiche prestazioni previste dagli anzidetti contratti, la Procura insiste nella pretesa avanzata con l’atto di citazione.
Ritiene a tal proposito l’Organo requirente che il canone forfettario indicato nella “scala dei valori a saldo” non poteva che riferirsi alle prestazioni per le quali i contratti prevedevano corrispettivi forfetari, essendo illogica la previsione di corrispettivi determinati in misura forfetaria con riferimento a prestazioni da fornirsi solo su specifica richiesta dell’AMT e per le quali il corrispettivo era specificamente previsto nei contratti stessi ed andava di volta in volta determinato. L’avere, pertanto, incluso con il “closing memorandum” ogni genere di prestazioni nel corrispettivo forfettario, con rinuncia ai ricavi derivanti dalla fatturazione delle prestazioni variabili o opzionali, ha comportato, secondo la Procura, un danno quantificato in € 5.856.809,89. Tenuto conto che il Comune di Genova è contemporaneamente socio al 100% dell’A.M.I. e al 59% in A.M.T., e che, pertanto, al nocumento ricevuto quale socio della prima società deve contrapporsi il vantaggio tratto quale socio della seconda (in termini di minori costi sostenuti, speculare alla rinuncia ai ricavi da parte di A.M.I.), tale danno deve essere addebitato ai convenuti nella misura del 41% e viene, pertanto, definitivamente determinato nella misura di € 2.401.292,05.
Del danno così quantificato vengono chiamati a rispondere il sindaco Pericu Giuseppe e l’assessore Facco Giovanni per l’intero ed in solido e, nel limite di € 70.000,00 ciascuno, con gli amministratori di A.M.I. Sani Angelo, Seccacini Giovanni Battista, Vezzani Marco e Carbone Michele Dino.
A seguito della memoria della Procura producono memorie anche le difese dei convenuti Pericu, Facco, Carbone, Sani, Seccacini e Vezzani nonché Profiti, Merella e Musso.
La difesa del prof. Pericu prende atto della richiesta di proscioglimento avanzata dalla Procura con riferimento al danno derivante dalla sottodeterminazione dei corrispettivi stabiliti con i contratti intercompany, in quanto collegato ad attività ritenute espressione di scelte discrezionali,non irrazionali. La difesa ritiene, però, che la medesima soluzione sia da adottare anche con riferimento alle statuizioni del “closing memorandum”, non avendo queste ultime contenuto innovativo rispetto a quanto stabilito con i predetti contratti. Le “precisazioni ed integrazioni” di cui all’allegato 4 del “closing memorandum” si fonderebbero, infatti, sull’interpretazione letterale degli atti di gara per la scelta del socio privato di A.M.T. e sulla ricostruzione sistematica del rapporto giuridico intercorso tra il Comune e la cordata vincitrice.
Secondo il difensore, i contratti predisposti dal Comune, pur individuando le singole prestazioni, non fissavano per le stesse un compenso specifico, ad eccezione di due voci (sinistri passivi e manutenzione degli autobus con anzianità superiore a dieci anni), ma un corrispettivo forfetario annuale onnicomprensivo, quale remunerazione di ogni momento e fase della manutenzione.
Qualche dubbio, secondo la stessa difesa, poteva sorgere con riferimento al corrispettivo per la manutenzione della Ferrovia Principe-Granarolo, per la quale il contratto prevedeva un corrispettivo annuo specifico, ma tale previsione era da ritenersi “un refuso” di precedenti stesure del testo contrattuale, corretto in sede di closing. La difesa sostiene, inoltre, che la ferrovia non era operativa e, pertanto, il corrispettivo fissato per la manutenzione non era comunque dovuto.
Con riferimento al danno contestato viene, inoltre, eccepito che nella memoria depositata dalla Procura appaiono per la prima volta voci di danno cui non era stato fatto cenno nella citazione e sulle quali, pertanto, nulla il convenuto ha potuto dedurre in merito. Trattandosi di domanda nuova e non di semplice emendatio, la stessa è, secondo la difesa, da ritenere inammissibile, così come inammissibili sono da ritenere anche le richieste riferite alle medesime voci ma per le quali il danno è stato rideterminato in misura maggiore rispetto all’atto di citazione.
Produce memoria anche la difesa dell’assessore Facco, precisando che al convenuto non può essere ascritta alcuna responsabilità per l’eventuale danno conseguente all’approvazione da parte del C.d.A. dell’A.M.I. delle clausole del closing memorandum, essendosi lo stesso limitato a partecipare all’assemblea dell’11 gennaio 2007, su delega del Sindaco, ed a leggere, quale “mero nuncius”, una dichiarazione proveniente dall’azionista unico.
In ogni caso, anche ammettendo che con il closing si sia inteso modificare i contratti intercompany, il convenuto deduce l’insindacabilità della scelta effettuata, finalizzata a perseguire il doveroso obiettivo di operare un adeguamento degli schemi contrattuali ai contenuti dell’offerta risultata aggiudicataria della gara.
Anche l’Avv. Cocchi a difesa di Sani, Seccacini, Vezzani e Carbone produce memoria con la quale ribadisce le argomentazioni già illustrate in sede di costituzione, contestando, in subordine, l’ammontare del danno quantificato dalla Procura.
Gli amministratori dell’A.M.I. Profiti, Merella e Musso rinnovano la richiesta di proscioglimento dagli addebiti avanzata nella memoria di costituzione, anche sulla base delle nuove conclusioni della Procura.
All’udienza del 25 gennaio 2011 le parti concludono come in atti e la causa viene trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio deve esaminare anzitutto, in quanto logicamente prioritarie, le eccezioni di nullità della citazione, di improcedibilità dell’azione per tardiva emissione dell’atto di citazione e di difetto di giurisdizione di questo giudice, eccezioni formulate da tutti i difensori degli odierni convenuti.
1.1 Nullità della citazione per violazione dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. 1 luglio 2009 n. 78.
Secondo la difesa dei convenuti, la disciplina che regola l’iniziativa della Procura introdotta con il citato art. 17 comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 richiede che, per legittimare l’attività di indagine, la notizia di danno debba essere “specifica e concreta”. La norma esigerebbe, pertanto, che la notizia contenga il riferimento ad uno specifico fatto dannoso individuato nelle sue linee essenziali e indichi il concreto danno per il quale poi l’azione di responsabilità verrà esercitata.
Nel caso di specie, secondo le difese dei convenuti, l’azione è stata esercitata dal P.M. contabile sulla base di generiche notizie di stampa dalle quali non emergeva alcun danno a carico del Comune di Genova o di AMI. Si eccepisce, inoltre, che dette notizie erano state pubblicate nei mesi di luglio - agosto 2005, mentre nell’atto di citazione vengono addebitati ai convenuti eventi dannosi verificatisi successivamente (il 19 settembre 2005 e addirittura il 26 ottobre 2007). L’eccezione non è fondata.
L’art. 17, comma 30-ter, del D.L. 1 luglio 2009 n. 78, nella formulazione successivamente modificata dal D.L. 3 agosto 2009 n. 103, convertito dalla legge n. 141 del 2009, prevede che “Le procure della Corte dei conti possono iniziare l'attività istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge”.
E’ da ritenere, a tal proposito, pacifico che la notizia di danno possa essere anche non qualificata, e quindi anche di fonte giornalistica, atteso che la legge non fa alcuna precisazione al riguardo e che, essendo l’azione del P.M. contabile doverosa, la notizia, comunque acquisita, di un fatto dannoso per le pubbliche finanze, rende obbligatorio l’accertamento della fondatezza della stessa, a prescindere dalla fonte di provenienza.
Altrettanto pacifico deve ritenersi, ad avviso del Collegio, che la qualificazione di dannosità erariale di un fatto compete al P.M. contabile e non certamente a chi riferisce il fatto. Quest’ultimo potrebbe, infatti, nella valutazione di chi lo riporta, non avere alcuna caratteristica di dannosità, senza che tale rappresentazione costituisca un vincolo per le valutazioni del P.M. contabile.
Inoltre, mentre nella formulazione originaria la norma in esame richiedeva che la notizia fosse "specifica" e "precisa", nel testo entrato effettivamente in vigore si richiede che la stessa sia "specifica" e "concreta". Non sarebbe, quindi, ammissibile l’attivazione dell’indagine da parte del P.M. a seguito di una notizia che non abbia ad oggetto fatti specificamente individuati o che consista in mere supposizioni dell’esistenza di fatti potenzialmente dannosi, ma non è necessario che i fatti oggetto della notizia siano perfettamente delineati e minuziosamente descritti, essendo sufficiente che gli stessi siano adeguatamente individuati.
Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, (Sez. Umbria, ord. n.19 del 2 novembre 2009; Sez. Calabria ord. n.121 del 16 novembre 2009),i requisiti della specificità e della concretezza della notizia di danno devono essere intesi nei limiti necessari a ritenere plausibile, con giudizio ex ante, l’avvio di una attività istruttoria da parte dell’organo requirente ma non implicano che la notizia sia esaustiva al punto da far risultare superflua la funzione del requirente cui compete in ogni caso l’attività istruttoria volta alla verifica della fondatezza della notizia stessa e all’acquisizione degli ulteriori elementi necessari per la sussistenza della responsabilità amministrativa.
La ratio della norma è, chiaramente, quella di evitare che il P.M. possa avviare indagini esplorative alla ricerca di eventuali danni erariali sulla base di sospetti non corroborati da elementi che li facciano ritenere attendibili.
Con la disposizione in esame, tra l’altro, il legislatore non ha introdotto nell’ordinamento principi radicalmente nuovi, ma si è limitato a recepire normativamente principi già precedentemente affermati dalla Corte Costituzionale.
Il Giudice delle leggi aveva, infatti, già da tempo individuato (sentenze nn. 104/1989, 209/1994, 100/1995 e 337/2005) i presupposti per l’esercizio dell’attività istruttoria del P.M. contabile, precisando che la stessa non deve tradursi in un potere di controllo generalizzato e permanente sulla P.A. sì da produrre una menomazione nella sfera di quest’ultima, presidiata dalle garanzie di autonomia (sent. n. 337/2005), ma deve avere quale specifico riferimento un fatto dannoso individuato nelle sue linee essenziali, potendosi estrinsecare nella richiesta di atti singolarmente individuati, necessari per l’accertamento delle responsabilità connesse alla produzione di danni erariali (sent. n. 100/1995).
Ciò premesso in termini generali, nel caso all’esame del Collegio l’azione della Procura contabile prende le mosse da alcune notizie pubblicate da organi di stampa che evidenziano fatti specifici, meritevoli, secondo la Procura, di approfondimento in quanto potenzialmente dannosi per l’Erario.
Nell’atto di citazione la Procura precisa che la notizia di danno è stata appresa da alcuni articoli di stampa concernenti ingenti perdite registrate in pochi mesi dalla neo costituita A.M.I. S.p.a. a causa, tra l’altro, dei costi di manutenzione degli autobus.
In particolare, nella cronaca di Genova del quotidiano “La Repubblica” del 20 luglio 2005 un articolo dal titolo “AMT - AMI, giallo manutenzioni” informa che “i costi di 0,30 centesimi a chilometro” fissati nel contratto tra AMI e AMT sono irrealizzabili in quanto nella realtà “siamo desolatamente a 0,78”. In un successivo articolo del 24 agosto 2005 dal titolo “AMT, l’impresa miracolosa della “Rivoluzione francese” è scritto che “per rendere vendibile AMT, le poco redditizie manutenzioni sono state scorporate in una società ad hoc, l’Ami che resta interamente del Comune e che ovviamente, essendo nata proprio per togliere perdite da AMT, perde un sacco di soldi. Due milioncini al mese, centesimo più, centesimo meno. I Francesi hanno accettato di usarla per le manutenzioni ma il prezzo che Amt pagherà ad Ami per le manutenzioni sarà molto inferiore al costo.” In un successivo articolo pubblicato dallo stesso giornale in data 11 novembre 2005 dal titolo “Il buco AMT inghiotte anche Ami. Persi sei milioni in un mese e mezzo” si mette in evidenza che “per l’AMI, la creaturina nata da una costola dell’azienda di trasporto e destinata, in pratica, a contenerne i debiti, non ci sono praticamente più fondi.”
Gli articoli citati, secondo il Collegio, contengono notizie che, con ogni evidenza, forniscono elementi sufficienti per legittimare indagini di approfondimento della Procura finalizzate alla verifica della fondatezza dei fatti riportati e della sussistenza degli altri elementi richiesti dalla legge per la conseguente attivazione dell’azione di responsabilità amministrativa.
Ininfluente deve ritenersi, a tal proposito, che con l’azione del P.M. contabile siano state portate alla cognizione del giudice anche ulteriori fattispecie di danno, in particolare quelle derivanti dal c.d. closing memorandum, accertate dalla stessa Procura a seguito dell’esame della documentazione acquisita in esito alle indagini. La legge, infatti, non richiede che l’azione contabile debba essere circoscritta esclusivamente ai fatti dai quali trae origine l’indagine della Procura e non possa, invece, concernere ulteriori fattispecie di danno, emerse nel corso delle indagini e collegate alle medesime vicende, le quali, stante l’obbligatorietà dell’azione contabile, non potrebbero non essere oggetto di valutazione da parte della Procura.
1.2. Improcedibilità dell’azione per tardiva emissione dell’atto di citazione –
Dalla difesa dei convenuti viene, inoltre, eccepita l’improcedibilità dell’azione per tardiva emissione dell’atto di citazione che si sostiene depositato oltre il termine di 120 giorni dalla scadenza di quello stabilito per la presentazione delle deduzioni da parte del presunto responsabile del danno dall’art. 5, comma 1, del d.l. 15 novembre 1993 n. 453, convertito con modif. dalla legge 14 gennaio 1994 n. 19.
L’eccezione non è fondata a va respinta.
Come chiarito dalle Sezioni riunite di questa Corte con la sentenza n.1/2005, nell’ipotesi di invito a dedurre emanato nei confronti di una pluralità di soggetti ritenuti corresponsabili del danno erariale e come tali individuati nell'atto agli stessi contestualmente inviato, il termine di 120 giorni concesso al procuratore regionale per emettere l’atto di citazione decorre dalla data dell'ultima notifica del predetto invito, in analogia a quanto disposto dall’art. 7, comma 3, del regolamento di procedura approvato con R.D. n. 1038/1933, con riferimento al termine per comparire nei giudizi innanzi alla Corte dei conti, quando nello stesso procedimento vi siano più convenuti.
Ritiene, inoltre, questo Collegio - in accordo con la prevalente giurisprudenza (per tutte SS.RR. sentenza n. 7/QM/2003 del 20 marzo 2003 e Corte Costituzionale sentenza n. 513 del 20.11/20.12.2002) - che al termine di 120 giorni previsto dall'art. 5 della citata legge n. 19 del 1994, debba essere applicata la disciplina sulla sospensione feriale di cui all'art. 1 della legge 7.10.1969, n. 742, dovendo qualificarsi come processuali tutti i termini destinati a produrre i loro effetti sul processo.
Nel caso in esame l’invito a dedurre notificato per ultimo è quello relativo al convenuto Profiti Giuseppe. Detto invito è stato notificato in data 4 agosto 2004. Da tale ultima data, tenuto conto anche della sospensione feriale dei termini fino al 15 settembre, decorrono i 60 gg. previsti per rispondere all’invito ed i 120 giorni successivi per il deposito della citazione da parte del Procuratore. Essendo stato quest’ultimo atto depositato il 3 marzo 2010, lo stesso deve ritenersi tempestivo.
1.3. Difetto di giurisdizione della Corte dei conti.
Nel caso di specie, secondo la difesa dei convenuti, il danno ipotizzato dalla Procura contabile si sostanzierebbe in una diminuzione diretta del patrimonio della società A.M.I., partecipata dal Comune di Genova, e solo mediatamente in un danno a quest’ultimo, socio della stessa. La personalità giuridica e la piena autonomia patrimoniale della società di capitali rispetto al patrimonio dei singoli soci non consentirebbero, secondo la difesa, di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che il comportamento degli organi sociali abbia arrecato al patrimonio della società, che resta privato, con la conseguenza che la competenza in materia di responsabilità degli amministratori, in mancanza di specifiche norme derogatorie, deve ritenersi spettante al giudice ordinario.
A sostegno della tesi esposta la difesa richiama le ultime pronunce della Corte di Cassazione, in particolare la sentenza n. 26806/2009 e l’ordinanza n. 519 del 2010 che, nel caso di danno prodotto dagli amministratori direttamente al patrimonio della società partecipata dall’ente pubblico, hanno riconosciuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, con esclusione di quella del giudice contabile.
Il Collegio non ritiene condivisibili le argomentazioni della difesa e ravvisa, invece, nel caso di specie la sussistenza della giurisdizione del giudice contabile.
Nessun dubbio sul fatto che sia erariale il danno cagionato dagli amministratori comunali, sia che questo si consideri prodotto al Comune, sia che si consideri prodotto all’A.M.I., stante l’estensione della giurisdizione contabile anche alle ipotesi di responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici per danni cagionati ad amministrazioni o enti diversi da quelli di appartenenza (art. 1, comma 4, della L. 14 gennaio 1994, n. 20).
Per quanto, invece, attiene al danno prodotto dagli amministratori di A.M.I., valgono le seguenti considerazioni.
Come si legge anche nella stessa sentenza n. 26806 del 2009 citata dai convenuti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ai fini dell’individuazione della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa, ha da tempo abbandonato il criterio eminentemente soggettivo che identificava l’elemento fondante di detta giurisdizione nella condizione giuridica pubblica dell’agente, a favore di un approccio oggettivo che identifica l’ambito della responsabilità amministrativa con riferimento alla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate.
Secondo la Corte, pertanto, quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre avere riguardo al rapporto di servizio che intercorre tra l’agente e la P.A., tenendo conto che per tale può intendersi anche una relazione caratterizzata dal fatto di investire un soggetto altrimenti estraneo all’Amministrazione medesima del compito di porre in essere in sua vece un’attività.
L’affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno da esso controllato della gestione di un servizio pubblico integra, infatti, una relazione funzionale incentrata sull’inserimento di quest’ultimo nell’organizzazione dell’ente pubblico ed “implica, conseguentemente, l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, a prescindere dalla natura privatistica dello stesso soggetto e dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto (Sez. un. 27 settembre 2006, n. 20886; 1 aprile 2008, n. 8409; 1 marzo 2006, n. 4511; 19 febbraio 2004, 2004, n. 3351)”.
La Corte regolatrice ha, in sostanza, ritenuto che nell’attuale assetto normativo, caratterizzato dall’affidamento sempre più frequente a soggetti privati della realizzazione di finalità una volta ritenute di pertinenza esclusiva degli organi pubblici, si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando si perseguono finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato (Sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19667), con la conseguenza che il dato essenziale che radica tale giurisdizione è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si colloca la condotta produttiva del danno (Cass. Sez. un., 25 maggio 2005, n. 10973; 20 giugno 2006, n. 14101; 1 marzo 2006, n. 4511; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3367).
I principi enunciati sono applicabili anche nell’ipotesi in cui venga in evidenza un danno cagionato ad una società per azioni partecipata da un ente pubblico. In tal caso il problema della giurisdizione va risolto esaminando se la società partecipata sia un soggetto privato, non solo formalmente ma anche sostanzialmente, oppure se la stessa sia un modello organizzatorio di cui la P.A. si avvale per il raggiungimento dei suoi fini.
Se il rapporto tra la società e l’ente pubblico è semplicemente di natura partecipativa, come nell’ipotesi esaminata dalla Corte nella citata sentenza n.26806 del 2009 (in quel caso, tra l’altro, trattavasi di un rapporto indiretto e di minoranza), il fatto che il capitale della stessa sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico, non fa perdere alla società la natura di ente privato, con la conseguenza che, non ravvisandosi in tale ipotesi un danno erariale, la responsabilità degli amministratori per i danni arrecati alla società resta disciplinata dalle norme del codice civile e la giurisdizione spetta al giudice ordinario.
Qualora, invece, si tratti di una società con partecipazione pubblica totalitaria costituita per lo svolgimento di servizi pubblici, o che si configuri quale “longa manus” dell’ente stesso, per il rapporto di vera e propria compenetrazione organica che intercorre tra la società e l’ente pubblico, si è in presenza di un modello organizzatorio della stessa P.A. con la conseguenza che il danno prodotto dagli amministratori al patrimonio di quella società (pubblica) deve qualificarsi come erariale e la giurisdizione appartiene al giudice contabile.
La Corte di Cassazione ha già fatto applicazione di questi principi ritenendo sussistente la giurisdizione contabile nell’ipotesi di danno cagionato dagli amministratori alla R.A.I. S.p.a., alla quale è stata riconosciuta natura sostanziale di “ente assimilabile ad una pubblica amministrazione” (ord. n. 27092/09), nel caso di danno cagionato all’ENAV S.p.A. da propri dipendenti, qualificato erariale in quanto prodotto ad una società che svolge un servizio pubblico ed è partecipata al 100% dallo Stato (ordinanza n. 5032 del 3 marzo 2010) e nell’ipotesi di danno cagionato ad una Azienda regionale di Trasporto (COTRAL S.p.a.) “a totale capitale pubblico che svolge un servizio pubblico e le cui perdite patrimoniali sono destinate a risolversi in danno degli enti pubblici azionisti e quindi in danno erariale” (ordinanza 24672 del 24 novembre 2009).
Ad identica soluzione deve pervenirsi, secondo il Collegio, se il danno è cagionato dagli amministratori di società che, come quella che viene in evidenza nel presente giudizio, svolgono le cosiddette gestioni in house, vale a dire le gestioni dirette di servizi pubblici da parte dell’ente locale, mediante una propria impresa costituita in forma di società totalmente partecipata.
Il carattere strumentale delle società in house e le caratteristiche emergenti dall’esame della disciplina comunitaria (capitale totalmente pubblico, controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario di ««contenuto analogo» a quello esercitato dall’aggiudicante stesso sui propri uffici, svolgimento della parte piú importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante) escludono, infatti, che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo che lo controlla pienamente e totalmente (vedi Corte Cost. sentenza n. 325/2010).
Le stesse operano, pertanto, in una situazione di vera e propria compenetrazione organica con gli enti che le hanno costituite e sono da considerare articolazioni organizzative di questi ultimi, con la conseguenza che il danno causato dagli amministratori a tali società si configura come danno erariale.
Dall'applicazione di tali principi alla fattispecie in esame consegue che la cognizione sulla domanda di risarcimento del danno avanzata dal Procuratore regionale appartiene alla giurisdizione di questo giudice.
L’ A.M.I. S.p.a. è, infatti, una società costituita dal Comune di Genova, socio unico, per lo svolgimento delle attività di manutenzione dei mezzi adibiti al servizio di trasporto pubblico e di altre attività di rilevante interesse pubblico alla stessa direttamente affidate. La funzionalizzazione pubblicistica della gestione sociale risulta chiaramente dallo statuto, da cui emerge che l’oggetto sociale è “la gestione, la valorizzazione e la manutenzione dei mezzi di trasporto, di beni ed infrastrutture funzionali alla mobilità delle persone nelle aree urbane ed extraurbane, nonché lo svolgimento di servizi afferenti alla mobilità delle persone” tra cui (art. 4 dello statuto) la regolazione e controllo del traffico e della mobilità pubblica e privata, la progettazione, realizzazione e/o gestione di reti, infrastrutture e di sistemi di mobilità, la predisposizione degli atti propedeutici e necessari per l’affidamento della gestione del servizio di trasporto, la pianificazione, progettazione, realizzazione e gestione di servizi relativi alla viabilità, alla sosta, ai parcheggi, alla vigilanza delle corsie e delle fermate riservate al trasporto pubblico e alla rimozione dei veicoli in sosta d’intralcio.
Dalle suddette disposizioni risulta, con ogni evidenza, che la società è stata costituita per la gestione in house di attività di natura pubblicistica che, in assenza di detta società, avrebbero dovuto essere svolte direttamente dall’Amministrazione comunale.
I rapporti tra l’Amministrazione e la società sono, inoltre,caratterizzati da dipendenza formale con primazia dell’ente controllante. Per espressa previsione statutaria (art. 6), infatti, è riservata alla mano pubblica la totalità del capitale sociale ed al Comune di Genova appartiene il potere di nominare e di revocare direttamente la totalità degli amministratori, in caso di proprietà del 100% delle azioni da parte dello stesso e la maggioranza degli amministratori in caso di proprietà di una quota inferiore. Allo stesso Comune spetta, inoltre, il potere di nominare il presidente del consiglio di amministrazione (art. 16).
L’AMI è, infine, soggetta ad attività di direzione e coordinamento da parte del Comune di Genova, da cui totalmente dipende anche finanziariamente, come evidenziato dal fatto che realizza sul piano funzionale la parte più importante della propria attività con l’ente pubblico che la controlla e ne condiziona in modo determinante le scelte più importanti, nonché dai continui aumenti di capitale a copertura perdite sottoscritti dall’ente proprietario.
Essa è, in conclusione, un soggetto soltanto formalmente privato, essendo in realtà una società pubblica sulla quale il Comune esercita un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, come risulta anche dalle stesse vicende che hanno caratterizzato la procedura di gara per la scelta del socio privato di A.M.T.
In quella sede è stato, infatti, il Comune a fissare il corrispettivo annuo per i servizi intercompany tra A.M.I. e A.M.T., senza tenere conto della volontà degli organi gestionali di A.M.I. e degli accordi pregressi tra le due società. Il Comune ha considerato l’A.M.I. come un proprio servizio interno, garantendo a terzi (la cordata vincitrice della gara per la scelta del socio privato di A.M.T.) determinati comportamenti da parte degli organi di amministrazione di quest’ultima (approvazione da parte del C.d.A. dei corrispettivi relativi ai servizi intercompany fissati dal Comune) sui quali evidentemente poteva influire, ed esprimendo, di fatto, esso Comune la volontà degli organi sociali.
Nell’identico modo il Comune si è comportato nel momento in cui, con la sottoscrizione del “closing memorandum”, ha modificato ulteriormente le condizioni economiche di erogazione del servizio da parte di A.M.I., senza tenere conto della volontà di quest’ultima i cui organi avevano evidenziato le notevoli ripercussioni negative che tali modifiche avrebbero avuto sulla situazione finanziaria della società.
Conseguente comportamento è stato adottato dall’azionista unico nell’assemblea dei soci in cui lo stesso è intervenuto, tramite i suoi rappresentanti, per chiedere al consiglio di amministrazione di A.M.I. la formale ratifica dei contratti precisando che essa costituiva specifica direttiva dell’azionista, espressione del potere di direzione e coordinamento esercitato sulla società.
Costituendo, pertanto, l’A.M.I. longa manus del Comune data l’insussistenza, per i motivi esposti, di un rapporto intersoggettivo tra la società partecipata e l’ente pubblico partecipante, i danni prodotti dagli amministratori di quella società devono considerarsi danni erariali e la conseguente responsabilità amministrativa appartiene alla giurisdizione di questo giudice.
2. Sgomberato il campo dalle questioni preliminari, nel merito, occorre partitamente considerare i fatti dai quali è scaturito il danno complessivo di € 9.416.185,53 contestato nell’atto di citazione.
3. Un primo profilo di danno per un ammontare di 6.000.000,00 di euro attiene ai fatti contestati dalla Procura al Sindaco Giuseppe Pericu, al vice Sindaco Alberto Ghio e all’Assessore Giovanni Facco, nonché ai membri del C.d.A. dell’A.M.I. Profiti, Merella, Vezzani, Musso, Sani, Carbone e Seccacini per avere il Sindaco, in qualità di rappresentante dell’azionista unico, determinato il saldo dei corrispettivi forfettari dovuti per i servizi intercompany tra A.M.T. ed A.M.I., in sede di gara per la scelta del socio privato, in misura inferiore al livello minimo dei costi sostenuti da A.M.I. per l’erogazione dei servizi richiesti, il vice Sindaco Ghio sollecitato nell’assemblea del 12 agosto 2005 il consiglio di amministrazione di A.M.I. a ratificare la decisione del Comune ed i membri del consiglio di amministrazione di A.M.I. approvato e sottoscritto i contratti in parola.
3.1 Con riferimento a tale fattispecie dannosa, come riferito in premessa, la Procura, con memoria successiva all’atto di citazione, ha chiesto il proscioglimento dei convenuti in quanto il fatto contestato deve ritenersi espressione di scelte discrezionali dell’Amministrazione comunale, come tali non sindacabili dal giudice contabile.
Il Collegio ritiene, a tal proposito, di convenire con la richiesta di proscioglimento dei convenuti avanzata dalla Procura.
Nel 2004, infatti, il Comune di Genova ha ritenuto di porre rimedio alla situazione di grave crisi economica e finanziaria in cui versava l’A.M.T. attraverso la cessione al privato di una quota della parte sana dell’azienda stessa e l’accollo alla neo costituita A.M.I., partecipata al 100% dallo stesso Comune, dei costi impropri della gestione di A.M.T., con particolare riferimento ai costi di manutenzione dei mezzi di trasporto, notevolmente superiori a quelli di mercato. Tale scelta era finalizzata a chiudere in tal modo una fase caratterizzata da confusione di ruoli tra politica e gestione aziendale, ponendo le basi per una prospettiva di rilancio di A.M.T., e ad evitare le conseguenze di ordine sociale ed economico che un probabile fallimento dell’ azienda di trasporto pubblico avrebbe comportato per la collettività e per i lavoratori ivi occupati.
Tenendo conto di tali premesse ed indipendentemente dalla valutazione sulle modalità con le quali le finalità dell’Amministrazione sono state realizzate, deve ritenersi che la scelta di penalizzare A.M.I. accollando a quest’ultima (e quindi al Comune, unico socio) alcuni costi impropri di A.M.T. sia da qualificare scelta politica rientrante nella discrezionalità dell’Amministrazione comunale e, come tale, non trattandosi di scelta irrazionale o abnorme, sottratta alla valutazione del giudice contabile in sede di giurisdizione di responsabilità.
Occorre, d’altra parte, considerare che una eventuale indicazione in sede di gara per la scelta del socio privato di A.M.T. di un canone per i servizi intercompany meno vantaggioso per quest’ultima avrebbe certamente comportato riflessi conseguenti sull’offerta dei partecipanti e, quindi, sul prezzo di cessione della quota del 41% di A.M.T.
4. Con riferimento al secondo profilo di danno originariamente quantificato dalla Procura in € 3.416.185,53, quale conseguenza delle ulteriori modifiche dei contratti intercompany apportate con l’allegato 4) del “closing memorandum” sottoscritto dal Sindaco e dai rappresentanti del socio di minoranza in data 18 novembre 2005 e formalmente approvate dal consiglio di amministrazione dell’AMI nella seduta del 26 ottobre 2007, la Procura insiste nella richiesta di risarcimento, sia pure rideterminando il danno stesso nella minore misura di € 2.401.292,05, in quanto la scelta di modificare in senso peggiorativo per l’A.M.I. le condizioni contrattuali già concordate tra le due aziende (AMI ed AMT), si appaleserebbe arbitraria ed immotivata.
Di tale danno, il Procuratore regionale chiama a rispondere, a titolo di dolo, in primo luogo il Sindaco Pericu e l’Assessore Facco, in solido tra loro e per l’intero, il primo per avere sottoscritto il predetto accordo ed il secondo per avere nell’assemblea di A.M.I. dell’11 gennaio 2007, in qualità di rappresentante dell’azionista unico e nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, formalmente invitato il consiglio di amministrazione di A.M.I. a deliberare l’approvazione delle specifiche clausole, precisando che tali adempimenti costituivano oggetto di direttiva dell’azionista unico.
Dello stesso danno, e fino alla concorrenza per ognuno di € 70.000,00, vengono, inoltre, chiamati a rispondere i membri del C.d.A. dell’A.M.I. S.p.a. Vezzani, Carbone, Sani e Seccacini, che hanno approvato le modifiche ed integrazioni de quibus nella seduta del 26 ottobre 2007.
4.1 La difesa dei convenuti Pericu e Facco si oppone alla richiesta di condanna sostenendo:
a) che il closing memorandum non avrebbe contenuto negoziale, consistendo in un sintetico riepilogo di tutti gli adempimenti cui erano tenute le parti al momento del closing e cioè del trasferimento delle azioni oggetto del contratto;
b) che in ogni caso trattasi di scelte discrezionali non sindacabili dal giudice;
c) che nel caso in esame non sussisterebbe il danno erariale, anche per l’esistenza di vantaggi compensativi per AMI;
d) che mancherebbe il nesso di causalità tra la direttiva al consiglio di amministrazione dell’A.M.I. e l’eventuale danno prodotto, atteso il carattere non vincolante della stessa;
e) che difetterebbe l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave nelle condotte dei due amministratori.
4.2 Con riferimento, in particolare, all’eccepito carattere non negoziale del closing memorandum, la difesa sostiene che col detto documento, le parti hanno inteso chiarire le clausole contrattuali dubbie contenute nei contratti intercompany, eliminando, “in conformità alle condizioni dell’offerta”, componenti variabili nella remunerazione del servizio di manutenzione. Errerebbe, pertanto, la Procura nel considerare il momento del closing, una fase a sé stante dalla quale sarebbe derivato “un regalo ad A.M.T.”, in particolare al suo partner privato, attraverso l’inclusione nel canone forfettario concordato di alcune prestazioni da remunerare a parte, trattandosi, invece, di un atto doveroso e prodromico al naturale perfezionamento della procedura di gara con il metodo del dialogo competitivo.
4.3 La difesa dei convenuti precisa, inoltre, che il corrispettivo dei contratti intercompany posto a base della gara era composto da una parte fissa, corrispondente al canone annuo forfettario, e da una parte variabile aggiuntiva, limitata però ai costi relativi alla manutenzione degli autobus con età superiore a 10 anni ed alla riparazione dei danni derivanti dai sinistri “passivi” (intendendosi per tali quelli avvenuti per colpa di AMT)(art. 6.4 all. VI).
4.4 Secondo la difesa, quindi, tutti gli altri costi sostenuti da A.M.I., ed in particolare quelli per la manutenzione e l’ampliamento della filovia, per la manutenzione della ferrovia Principe- Granarolo e per la riparazione dei danni da sinistri attivi, quelli cioè di cui A.M.T. era vittima, dovevano ritenersi ricompresi nel corrispettivo forfettario indicato in sede di gara, non soggetto neppure alla rivalutazione sulla base dell’indice ISTAT, essendo tale rivalutazione incompatibile con la determinazione forfettaria dello stesso.
Con riferimento a tali voci, quindi, il closing memorandum non era altro, secondo la difesa, che “un atto interpretativo dei contenuti dei contratti intercompany coordinati con l’offerta di Transdev, al fine di ricostruire una disciplina omogenea, coerente ed uniforme in presenza di più documenti contrattuali in apparente contraddizione tra loro e soprattutto adeguando la regolamentazione contrattuale alle condizioni dell’offerta”.
4.5 Le tesi della difesa non appaiono convincenti e non possono essere condivise, se non limitatamente ai corrispettivi per la manutenzione dei tratti aggiunti della filovia, da ritenersi inclusi nel canone forfettario.
4.6 Osserva il Collegio che con la lettera-invito ad offrire inviata dal Comune alle ditte rimaste in gara dopo la conclusione della terza fase della gara per la selezione del partner strategico, sono stati trasmessi in allegato anche i “documenti-base definitivi” tra cui i contratti intercompany e la c.d. “scala dei valori a saldo” e cioè gli importi annui decrescenti del canone forfetariamente stabilito. In sede di gara non sono stati, pertanto, comunicati da parte del Comune solo i “saldi netti” dei corrispettivi contrattualmente stabiliti, ma sono stati inviati anche gli schemi dei contratti intercompany, indicati quali documenti definitivi da accettare da parte dell’offerente, senza ulteriori modifiche.
La lettera informava i destinatari che tali documenti base “dovranno essere espressamente accettati dagli offerenti secondo le modalità indicate nel disciplinare di gara” e che “nella valutazione dell’opportunità o meno di presentare offerta i concorrenti dovranno effettuare ogni approfondimento ritenuto opportuno” essendo “rimessa unicamente all’offerente la raccolta di tutte le informazioni necessarie per valutare l’opportunità o meno di presentare offerta, procedendo ad ogni indagine al fine di sincerarsi dell’accuratezza, adeguatezza e completezza delle informazioni fornite”.
Richiedere chiarimenti sulle eventuali clausole dubbie contenute nei contratti intercompany, nell’ipotesi in cui si fossero riscontrati “più documenti contrattuali in apparente contraddizione tra loro” costituiva, pertanto, un onere specifico dei potenziali offerenti che non poteva costituire oggetto di appositi negozi interpretativi successivi all’aggiudicazione della gara.
4.7 Inoltre, i contratti intercompany prevedevano importi da corrispondersi da parte di A.M.T. per le diverse attività svolte da A.M.I. e viceversa. Per alcune di queste attività era prevista una remunerazione in misura forfettaria (senza che tale misura fosse indicata), mentre per altre prestazioni era prevista una remunerazione specifica, secondo le indicazioni contenute nel contratto. In particolare, il contratto intercompany n. 1 all’art. 27.1.1 prevede la corresponsione da parte di AMT di importi aggiuntivi (rispetto al canone fisso) di € 5.000,00 per ogni autobus di età pari o superiore a 10 anni; all’art. 27.1.2 contiene la previsione di numerose prestazioni, di carattere eterogeneo ed eventuale, tra cui quelle relative alla riparazione dei sinistri, da remunerare secondo le indicazioni specificamente indicate nel contratto; all’art. 27.2 dispone l’adeguamento annuale dei corrispettivi secondo l’indice ISTAT, a decorrere dal primo anno successivo alla stipulazione del contratto. Infine, il contratto intercompany n. 3 all’art.7.4 prevede espressamente il corrispettivo annuo di € 210.000,00 per la manutenzione ordinaria e straordinaria della linea e dell’armamento della Ferrovia Principe-Granarolo.
4.8 Ritiene il Collegio che dall’insieme delle anzidette previsioni contrattuali sia facilmente deducibile che il corrispettivo fissato nella c.d. “scala dei valori a saldo” sia da intendersi riferito a tutte le prestazioni per le quali nello schema contrattuale è prevista una remunerazione con un compenso forfettario, tra cui quelle relative alla manutenzione dei tratti aggiunti della filovia che, pertanto devono ritenersi comprese nel detto compenso. Appunto per tale motivo, nello schema contrattuale inviato agli offerenti l’ammontare del corrispettivo relativo a tali prestazioni viene lasciato in bianco.
4.9 E’altrettanto chiaro, però, che da tale corrispettivo forfettario siano da ritenere escluse le prestazioni per le quali il contratto non preveda un corrispettivo forfettario, ma quantifichi espressamente la remunerazione pattuita, come avviene per la manutenzione ordinaria e straordinaria della linea ferroviaria Principe - Granarolo e per la manutenzione degli autobus con più di dieci anni di vita di cui all’art. 27.1.1, oppure indichi i parametri in base ai quali tale corrispettivo deve essere determinato, come avviene, ad esempio, per le prestazioni indicate nell’art. 27.1.2 del contratto intercompany n. 1 o per l’adeguamento dei corrispettivi stessi sulla base dell’indice Istat previsto dall’art. 27.2.1, clausola quest’ultima, tra l’altro, da ritenersi normalmente inserita in ogni contratto con prestazioni di durata pluriannuale.
4.10 Diversamente opinando, non si comprenderebbe il motivo per cui siano state indicate espresse specifiche remunerazioni con riferimento a prestazioni da ritenere incluse nella remunerazione forfettaria onnicomprensiva, attesa in tale ipotesi la loro totale inutilità; d’altra parte, trattandosi di espresse previsioni contrattuali, se nessuna delle parti, ed in particolare la parte offerente partecipante alla gara, ne ha chiesto la soppressione, le stesse non possono essere ritenute tamquam non essent, né la loro mancata eliminazione dallo schema contrattuale può essere considerata un “refuso”, come sostenuto dalla difesa, considerati l’importanza dell’affare e il ricorso ad elevate professionalità esterne di cui il Comune si è avvalso in qualità di consulenti per la redazione dei documenti di gara.
4.11 Appare, inoltre, inspiegabile il motivo per cui, pur trattandosi di prestazioni tutte egualmente previste nei contratti intercompany, viene pacificamente ammessa dai convenuti la remunerabilità, in aggiunta al corrispettivo forfettario onnicomprensivo, di alcune di esse, quali la manutenzione degli autobus più vecchi e le riparazioni per i sinistri passivi, ma non di altre, quali il corrispettivo per la manutenzione della Ferrovia Principe-Granarolo e l’adeguamento dei corrispettivi sulla base dell’indice ISTAT.
Con riferimento, in particolare, al corrispettivo dovuto per la manutenzione della Ferrovia Principe – Granarolo, il Collegio rileva che dalla documentazione agli atti risulta, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, che detta manutenzione ha avuto sempre luogo per tutto il periodo dal 2004 al 2008. Ed invero, come dichiarato dal dott. Antonio Serra, direttore generale di A.M.I. S.p.a. e dal signor Michele Montanari Eugenio, direttore di esercizio della Ferrovia Principe-Granarolo alla Guardia di Finanza di Genova, Sezione accertamento danni erariali, in data 2 novembre 2010 e 11 novembre 2010, nel 2003 sono state eseguite indagini geologiche su alcuni tratti della linea ferroviaria, da cui sono emerse necessità di consolidamento della stessa.
A seguito di tali indagini, pur essendo stata chiusa al transito dei passeggeri la parte alta della tratta, l’intera linea è stata mantenuta in funzione al fine di eseguire i controlli ed effettuare le manutenzioni correnti.
Tra l’altro, come risulta dall’offerta tecnica presentata dalla Cordata TRANSDEV, con riferimento alla Ferrovia Principe – Granarolo, A.M.T. fruiva di un contributo regionale in conto esercizio previsto anche nella documentazione di gara, di 0,75 milioni di euro l’anno, costante per tutti gli anni del Piano.
4.12 Arbitraria è da ritenersi, inoltre, la distinzione tra riparazioni per sinistri passivi (remunerabili con corrispettivi aggiuntivi) e riparazioni per sinistri attivi (comprese nel forfait), non essendo una tale distinzione prevista nel contratto o in altro documento di gara. Non si vede poi quale logica giustificazione abbia la pretesa di considerare a carico dell’A.M.I. il costo delle riparazioni conseguenti ai sinistri attivi per i quali l’A.M.T. riceve l’indennizzo da parte delle compagnie di assicurazione, e di remunerare, invece, le riparazioni conseguenti ad incidenti causati da A.M.T. per i quali alla stessa nessun indennizzo è dovuto.
4.13 A comprova dell’infondatezza delle argomentazioni difensive che sostengono la onnicomprensività del canone annuo, con le due sole eccezioni sopra indicate (sinistri attivi e manutenzione autobus con oltre 10 anni), basta peraltro considerare la stessa offerta effettuata dalla cordata Transdev in cui si legge che “il canone intercompany raggruppa due componenti distinte: quota fissa: è la quota a saldo delle posizioni attive/passive che AMT corrisponderà ad AMI; il valore della quota fissa decresce da 18 milioni di euro nel 2005 a 13 milioni di euro dal 2010 in coerenza con quanto comunicato nella documentazione di gara; quota variabile: la voce dipende da costi non compresi nella parte fissa dovuti principalmente alla riparazione dei danni legati a sinistri ed al maggior costo di manutenzione dei mezzi con età superiore ai dieci anni (5.000 €/mezzo)”.
Dal suddetto documento risulta evidente che anche alla stessa offerente era chiaro che il canone conteneva anche una parte variabile dipendente da costi non compresi nella parte fissa, dovuti “principalmente” alla riparazione dei mezzi con età superiore a dieci anni ed ai danni legati a “sinistri”. L’avverbio “principalmente” sottintende, inoltre, che i costi citati non siano esaustivi ed il riferimento ai “sinistri” in generale non consente di distinguere tra quelli attivi e quelli passivi.
5. Le surriferite considerazioni conducono a ritenere che quelle apportate con il “closing memorandum” siano vere e proprie modifiche contrattuali, come tra l’altro risulta dallo stesso contenuto del documento, in cui all’allegato 4 punto 3) si legge che “l’art. 7.4 e 10.1.1.b del contratto intercompany n. 3 sarà modificato specificando che il compenso per la manutenzione ordinaria e straordinaria della linea e dell’armamento della ferrovia Principe-Granarolo sia ricompreso nel corrispettivo di cui all’art.10.1.1.a) di tale contratto intercompany” e che “le clausole di adeguamento ISTAT dei corrispettivi saranno applicabili solo se, e nella misura in cui, non compromettano la scala dei valori dei saldi di cui all’allegato 1.02 del contratto”, operando in tal modo una modifica radicale dell’art.27.2 del contratto intercompany n. 1, sostanzialmente equivalente al suo annullamento.
6. Non appare condivisibile neppure il riferimento fatto dalla difesa alla doverosità del “closing memorandum” quale atto prodromico al naturale perfezionamento della procedura di gara con il metodo del dialogo competitivo, con il quale le parti intendevano chiarire il significato delle clausole contrattuali dubbie contenute nei contratti intercompany eliminando, in conformità alle condizioni dell’offerta, componenti variabili nella remunerazione del servizio di manutenzione.
Il “closing memorandum” è stato, infatti, sottoscritto in data 18 novembre 2005 e cioè a gara ormai aggiudicata. E’evidente che a quel punto è “l’offerta” a doversi adeguare al contenuto della proposta risultante dai documenti di gara, espressamente accettati senza chiedere ulteriori chiarimenti, e non viceversa, nè può farsi ancora riferimento al dialogo competitivo, già concluso nel momento in cui sono stati inviati i documenti definitivi, tra cui i contratti intercompany, che dovevano essere accettati dagli offerenti senza più potere discutere eventuali modifiche.
7. Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, gli accordi con il contraente privato che contemplino diritti od obblighi diversi da quelli sanciti con l’aggiudicazione, sono da ritenere illegittimi. Con la cristallizzazione negli atti di gara delle condizioni contrattuali l’ente procedente perde, infatti, la disponibilità del contenuto del rapporto contrattuale - che resta inderogabilmente regolato dallo schema approvato con l’indizione della gara - e, quindi, la legittimazione a convenire con la controparte condizioni diverse da quelle conosciute dai partecipanti alla procedura concorsuale (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4167 del 14 luglio 2003).
Illegittima appare, pertanto, la sottoscrizione di un documento in cui, a gara conclusa, si interpretano a favore del vincitore clausole definite dubbie, con l’effetto di considerare compresi nel canone forfettariamente stabilito tipologie di costi da remunerare, per espressa previsione contrattuale, in aggiunta al detto compenso forfettario.
8. Per i motivi sopra esposti, il Collegio non ritiene, inoltre, che nel caso di specie vengano in evidenza scelte discrezionali insindacabili. Non lo sono quelle del Sindaco che ha sottoscritto gli accordi di closing con i quali, come sopra specificato, illegittimamente e senza alcuna giustificazione si è acconsentito alla modifica di contratti già stipulati e in un momento successivo alla conclusione della gara per la scelta del socio privato di A.M.T.; non lo sono neppure quelle effettuate dal Consiglio di amministrazione dell’A.M.I. che dopo avere segnalato all’azionista le conseguenze dannose di quelle modifiche ha proceduto all’approvazione delle stesse, rinunciando irrazionalmente a percepire corrispettivi contrattualmente dovuti per le prestazioni in argomento.
9. Per quanto poi attiene all’eccepita mancanza di danno in quanto nell’atto di citazione verrebbe solo supposto un minore introito per A.M.I. derivante dal recepimento delle modifiche dei contratti intercompany intervenute in sede di closing, senza la dimostrazione di un effettivo impoverimento della società e di un danno per il Comune, il Collegio osserva che la mancata fatturazione di prestazioni erogate da A.M.I. ad A.M.T. ha certamente aggravato le perdite di AMI o ha comunque comportato una diminuzione di utili, eventi che devono ritenersi senz’altro dimostrazione idonea dell’esistenza di un danno erariale, attesa la natura pubblica dell’A.M.I., e considerato che tale danno è poi ricaduto sull’ente pubblico partecipante che si era impegnato a sostenere finanziariamente AMI, come in effetti ha fatto, mediante aumenti di capitale e copertura delle perdite registrate dalla società.
Risulta, infatti, dagli atti che il bilancio al 31 dicembre 2005 si è chiuso con una perdita 19.645.333 di euro e che nel corso dello stesso esercizio la perdita è stata parzialmente ripianata dal Comune di Genova per 16.548.925,00 di euro, che nel 2006 il Comune è intervenuto con un apporto di 5.000.000,00 di euro per futuro aumento di capitale,parzialmente utilizzato per la copertura della residua perdita non coperta del 2005, e che nel 2007 l’azionista unico è nuovamente intervenuto con un apporto di ulteriori 10.000.000,00 di euro, attese le rilevanti perdite che mensilmente si venivano ad accumulare.
10. Per quanto, invece, attiene alla richiesta di tenere conto, nella valutazione del danno erariale, dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza o da altra amministrazione o dalla comunità amministrata, in applicazione del disposto dell’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 20/94, il Collegio non ritiene di potere attribuire rilievo ai vantaggi che, secondo la difesa, sarebbero derivati al Comune ed alla collettività dall’evitato fallimento di A.M.T. e dalla ristrutturazione della situazione del trasporto pubblico, trattandosi di allegazioni generiche e non dimostrate e, soprattutto, di vantaggi che, a voler concedere, potrebbero essere ascrivibili all’operazione di semiprivatizzazione di A.M.T., ma che certamente non risultano specificatamente riconducibili alle contestate modifiche apportate con il closing memorandum.
11. Il Collegio ritiene, invece, accoglibile l’eccezione della difesa, condivisa dalla stessa Procura, secondo cui essendo A.M.T. partecipata dal Comune di Genova per il 59% del suo capitale, al danno subito dall’Ente, quale azionista unico di A.M.I., per la mancata fatturazione di prestazioni da questa rese ad A.M.T., corrisponde un eguale vantaggio conseguito da quest’ultima e, quindi dello stesso Comune, quale socio al 59%. Il danno erariale subito da quest’ultimo deve, pertanto, essere limitato al 41% del totale.
12. Passando alla verifica dell’elemento soggettivo, che la Procura individua nel dolo, la difesa del Sindaco Pericu sostiene che nel caso in esame non sussistono né il dolo né la colpa grave del convenuto in quanto:
a) tutte le decisioni dalle quali la Procura ritiene sia derivato un danno erariale sarebbero state assunte dagli organi collegiali del Comune. In particolare la definizione dei contenuti dei contratti intercompany sarebbe stata oggetto della delibera della Giunta comunale n.299/2005 del 7 aprile 2005, nell’ambito della procedura di gara per la scelta del partner di A.M.T. e l’interpretazione degli accordi contenuta nel c.d. “closing memorandum” sarebbe stata valutata dal Consiglio comunale e dallo stesso condivisa con deliberazione n. 1229 del 15 ottobre 2005;
b) tutte le decisioni sarebbero state precedute da approfondite istruttorie tecniche da parte degli uffici comunali e dei consulenti esterni (Dexia Crediop e consulenti legali);
12.1. Anche la difesa dell’Assessore Facco contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave nel comportamento del convenuto, sostenendo che le direttive impartite alle società controllate dal Comune costituiscono attività amministrativa di indirizzo politico del Comune, sono obbligatoriamente collegiali e come tali non possono provenire da un singolo membro della Giunta. Secondo la difesa, pertanto, l’Assessore Facco è intervenuto nell’assemblea dell’A.M.I. dell’11 gennaio 2007 in veste di “mero nuncius”, limitandosi a leggere una dichiarazione predisposta congiuntamente dai legali di A.M.T. ed A.M.I.
12.2. Il Collegio non ravvisa nella condotta dei due amministratori comunali alcun elemento che indichi una deliberata volontà di violare le norme che presidiano l’indisponibilità delle condizioni contrattuali cristallizzate negli atti di gara o che regolano le competenze dei diversi organi dell’ente nell’esprimere la volontà dello stesso quale azionista unico di una società partecipata. La responsabilità degli stessi non deve, pertanto, essere affermata a titolo di dolo, bensì di colpa grave per i motivi di seguito illustrati.
12.3. Con riferimento alle eccezioni avanzate dalla difesa del Sindaco Pericu, il Collegio osserva che la delibera n. 299/2005 ha ad oggetto i contratti intercompany nella stesura antecedente alle modifiche apportate con il “closing memorandum”, mentre con la delibera della Giunta n. 1229 del 15 dicembre 2005, avente ad oggetto l’”affidamento alla società AMT Spa della gestione del servizio di TPL nel bacino G Urbano di Genova. Attuazione della DCC n. 122/2004”, è stato approvato il testo del contratto di servizio quadro tra Comune ed A.M.T. che ha, tra le premesse, la presa d’atto che tra la cordata aggiudicataria della gara ed il Comune è stato sottoscritto in data 18 novembre 2005 il closing memorandum. La Giunta con il predetto atto non ha, pertanto, preventivamente deliberato le modifiche da apportare al testo originario dei contratti intercompany, vale a dire il contenuto del “closing memorandum”, ma ha soltanto “preso atto” della intervenuta sottoscrizione dello stesso da parte del Sindaco. Né poteva essere altrimenti, trattandosi di atto successivo alla sottoscrizione del predetto memorandum.
La sottoscrizione del documento di cui trattasi è, pertanto, da ritenersi atto ascrivibile alla sola volontà gravemente colpevole del Sindaco che, senza specifica preventiva delibera autorizzativa da parte di alcun organo collegiale dell’Ente e violando anche i principi di trasparenza e parità di trattamento che regolano le gare pubbliche, ha illegittimamente sottoscritto il documento con il quale sono state modificate in senso pregiudizievole per l’A.M.I. alcune clausole dei contratti intercompany come definiti in sede di aggiudicazione, con danno per l’A.M.I. e per il Comune, azionista unico.
A tal proposito si rileva, tra l’altro, che nessuna documentazione circa le “approfondite istruttorie tecniche” da parte degli uffici comunali e dei consulenti esterni relative alla sottoscrizione del più volte citato closing memorandum è stata prodotta in giudizio.
12.4. Con riferimento, invece, alle eccezioni della difesa dell’Assessore Facco, il Collegio ritiene che quest’ultimo, titolare dell’Assessorato alle Risorse Umane e Organizzazione, con delega al controllo economico e finanziario delle aziende speciali e società partecipate, non possa essere qualificato “mero nuncius” e, in quanto tale, portatore di volontà altrui. Il predetto assessore che, nella qualità, in data 27 novembre 2006 era stato informato dall’amministratore delegato di A.M.I. sul fatto che le intese Comune /A.M.T. avrebbero comportato per A.M.I. un peggioramento rispetto ai contratti in vigore di circa 20 milioni di euro, aveva invitato i vertici aziendali A.M.I. (presidente ed amministratore delegato) a conformarsi al contenuto del closing memorandum (vedi lettera del 29 novembre 2006). Lo stesso Assessore è anche formalmente intervenuto nell’assemblea dell’A.M.I. dell’11 gennaio 2007, nella qualità di rappresentante dell’azionista unico Comune di Genova, ed in quella veste ed in quella sede, su richiesta specifica del C.d.A. di A.M.I., come si legge nella dichiarazione allegata al verbale d’assemblea, “ribadisce, altresì, anche nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, che la sottoscrizione delle integrazioni a tali contratti da parte del Presidente di AMI costituisce una specifica direttiva dell’azionista stesso”.
Occorre a tal proposito rilevare che le direttive specifiche non sono indirizzi politici generali, ma atti finalizzati ad ottenere determinati comportamenti e precise scelte da parte degli amministratori delle società soggette all’altrui direzione e coordinamento. Le stesse, pertanto, debbono essere formalizzate da parte del soggetto che esercita l’attività di coordinamento. Nel caso di specie non risulta che la Giunta abbia formalmente deliberato di impartire “direttive specifiche” al C.d.A. dell’A.M.I. finalizzate alla modifica dei contratti intercompany, né alcun riferimento ad un atto di tal genere risulta dalla dichiarazione dell’Assessore Facco allegata al verbale dell’assemblea e dallo stesso sottoscritta.
Poiché senza la dichiarazione del rappresentante dell’azionista unico della società A.M.I. quest’ultima non avrebbe proceduto all’approvazione delle modifiche dei contratti intercompany, secondo quanto stabilito nel closing memorandum, come dimostrato dai tentativi di resistenza effettuati, e di cui si dirà nel prosieguo, tra il comportamento dell’Assessore Facco e la decisione assunta dalla società sussiste il nesso causale che ha determinato l’evento dannoso. Quest’ultimo deve essere ascritto a colpa grave del convenuto il quale, con un comportamento connotato da ingiustificabile superficialità in ordine alla valutazione delle conseguenze dannose della delibera di cui si chiedeva l’adozione da parte del C.d.A. dell’A.M.I., ed in assenza di formale indicazione in tal senso dell’organo competente ad esprimere la volontà dell’azionista unico, ha impartito le direttive specifiche dalla cui esecuzione il danno è scaturito.
13. Entrambi i convenuti Pericu e Facco sostengono, inoltre, che il recepimento della direttiva da parte del C.d.A. dell’A.M.I. debba ascriversi esclusivamente alla volontà degli amministratori della società, stante l’assenza di un obbligo giuridicamente vincolante di recepirla, qualora non condivisa. Ne discenderebbe, secondo i convenuti, la mancanza del nesso di causalità tra la loro condotta e l’evento dannoso, da ascrivere esclusivamente alla responsabilità del C.d.A. dell’A.M.I.
La tesi non è fondata.
Se è corretto, infatti, sostenere che ai sensi dell’art. 2380 bis del c.c. la gestione di una società per azioni spetti agli amministratori che, pertanto, non possono ritenersi esenti da responsabilità per avere dato attuazione ad una direttiva pregiudizievole per gli interessi della società, deve altrettanto correttamente ritenersi che le direttive dettate dal socio unico, nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento prevista dal codice civile, non possono non avere avuto un peso determinante nella decisione degli amministratori. E’ vero, infatti, che tali direttive non sono giuridicamente vincolanti, non sussistendo rapporti di subordinazione gerarchica tra chi esercita attività di direzione e coordinamento e gli amministratori. E’, però, evidente che provenendo dal soggetto controllante, le direttive in parola abbiano un forte valore cogente e non possano essere disattese dai destinatari senza conseguenze agevolmente intuibili, dato il rapporto fiduciario che intercorre tra azionista unico, titolare del potere di revoca dell’incarico, ed amministratori.
14. Secondo la difesa dei convenuti Pericu e Facco, il nesso di causalità tra la direttiva indirizzata al C.d.A. dell’A.M.I., riguardante l’adeguamento dei contratti intercompany al contenuto del “closing memorandum” ed il danno sarebbe da ritenere interrotto dal fatto che prima dell’approvazione delle modifiche dei contratti avvenuta nella seduta del 26.10.2007, ha avuto luogo un’altra assemblea in data 9.10.2007, nel corso della quale il Comune di Genova, retto da una nuova Amministrazione subentrata a seguito delle elezioni del giugno 2007, avrebbe impartito nuove direttive, nella diversa prospettiva del ritrasferimento delle attività manutentive all’interno di A.M.T. e dell’abbandono del progetto di un polo manutentivo.
Il Collegio ritiene che le suddette argomentazioni non siano fondate.
Le due direttive cui i convenuti fanno riferimento hanno chiaramente un oggetto diverso. La nuova direttiva riguarda, infatti, la diversa prospettiva del ritrasferimento delle attività manutentive all’interno di A.M.T., mentre quella di cui si discute è relativa all’approvazione delle modifiche dei contratti intercompany ed all’esecuzione di quanto disposto con il closing memorandum.
15. Corresponsabili nella causazione del danno, sia pure in minor misura, devono ritenersi anche gli amministratori dell’A.M.I. Vezzani, Sani, Seccacini e Carbone, per avere con un comportamento irrazionale ed ingiustificato e, quindi, gravemente colpevole, approvato e dato esecuzione alle modifiche dei contratti intercompany.
I convenuti evidenziano che la scelta è stata assunta in aderenza alle indicazioni vincolanti del rappresentante in assemblea del socio unico Comune di Genova, il quale si era anche impegnato a garantire l’integrità patrimoniale della società attraverso il reintegro del capitale sociale a seguito delle eventuali perdite. In ogni caso, ritengono che nel loro comportamento la colpa grave sia da escludere per la richiesta di una consulenza legale in merito alla delibera da adottare.
Con riferimento, infine, alla posizione dell’amministratore Michele Carbone, la difesa ritiene che nulla possa essere addebitato a quest’ultimo, atteso che lo stesso non avrebbe partecipato alla votazione della delibera con la quale sono state approvate le modifiche ai contratti intercompany.
15.1. Le argomentazioni della difesa non possono essere condivise.
I comportamenti e le determinazioni assunte dagli amministratori A.M.I. sono sicuramente caratterizzati da colpa grave in quanto gli stessi con estrema superficialità ed ignorando il palese divieto di agire contro gli interessi della società e dello stesso azionista pubblico, hanno acconsentito alla modifica di alcune clausole dei contratti intercompany, con effetti dannosi sul bilancio della società e sulle finanze comunali.
Con una condotta inescusabile, in quanto non improntata all’uso delle cautele necessarie, gli amministratori hanno posto a base della loro decisione ipotizzati ed aleatori vantaggi compensativi rimessi esclusivamente a generici annunci del Comune circa prospettive di sinergie future o di positive ricadute “anche in termini di sviluppo di nuovi business e di acquisizioni di nuovi contratti”, senza effettuare alcuna doverosa verifica sull’idoneità di tali ipotizzati benefici ad eliminare gli effetti negativi della decisione adottata.
Quanto all’invocata vincolatività degli indirizzi espressi dal socio unico, pur non sottovalutando il valore delle direttive dell’azionista, come innanzi argomentato, non può non rilevarsi che, anche ai sensi della normativa civilistica, la gestione della società è affida alla responsabilità degli amministratori (art. 2380 bis del c.c.) così che questi non possono ritenersi esenti da responsabilità per avere dato attuazione ad una direttiva comunque dannosa per la società stessa.
Irrilevante appare, inoltre, il fatto che prima di assumere la decisione gli amministratori abbiano chiesto un parere legale. Fermo restando, infatti, che un eventuale parere positivo circa una scelta dannosa affidata agli amministratori non esonera questi ultimi dalla conseguente responsabilità, occorre osservare che, nel caso in esame, il parere richiesto avvertiva che “ grava sugli amministratori della società controllata l’onere di allegare e provare gli ipotizzati benefici, connessi al vantaggio compensativo del gruppo, e la loro idoneità a compensare gli effetti negativi dell’operazione compiuta”.
L’avere, quindi, assunto la scelta dannosa, senza nessuna seria verifica e senza alcuna allegazione in ordine agli ipotizzati vantaggi compensativi deve essere ascritto a colpa grave degli amministratori che quella scelta hanno adottato.
15.2 Riguardo, infine, alla posizione dell’amministratore Michele Carbone, il Collegio rileva che lo stesso era presente all’adunanza del C.d.A. del 26 ottobre 2010 durante la quale si è proceduto alla ratifica delle modifiche apportate ai contratti intercompany con il closing memorandum e, pur precisando di non avere partecipato all’approvazione dei suddetti contratti, ne ha approvato le modifiche, come risulta dalla delibera assunta all’unanimità. Le considerazioni svolte a proposito dei membri del consiglio di amministrazione dell’A.M.I. valgono, pertanto, anche con riferimento al predetto amministratore che deve ritenersi corresponsabile per colpa grave del danno erariale.
16. Venendo, infine, alla determinazione del danno il Collegio ritiene che lo stesso debba essere quantificato tenendo conto della mancata fatturazione del corrispettivo per la manutenzione della Ferrovia Principe Granarolo, del mancato aggiornamento, sulla base dell’indice ISTAT, dei corrispettivi annuali e della mancata fatturazione delle riparazioni conseguenti ai sinistri attivi, voci originariamente escluse dal corrispettivo forfettario annuale stabilito per i servizi intercompany e, quindi da remunerare separatamente.
Deve, conseguentemente, respingersi la richiesta della Procura di includere tra le voci di danno compensi diversi da quelli citati, ed in particolare i conguagli per la manutenzione della linea aerea, da ritenersi, per le considerazioni fatte, remunerata forfettariamente.
Sono conseguentemente assorbite le eccezioni sollevate dalla difesa dei convenuti con riferimento all’ampliamento delle voci di danno ed all’incremento del danno da risarcire da parte della Procura in sede di memoria aggiunta e di precisazione delle conclusioni.
17. Per quanto attiene, in particolare, alla determinazione dei corrispettivi non fatturati per sinistri attivi, attesa la mancata compilazione dei relativi preventivi da parte dell’A.M.I. successivamente al closing memorandum, la stessa deve essere effettuata in via equitativa, sulla base del costo medio per sinistro accertato per l’anno 2005 e del numero dei sinistri effettivamente verificatisi nei vari anni.
18. Sulla base dei succitati elementi, il danno complessivo ammonta ad € 3.338.200,62, così determinato:
Anno 2005: Totale parziale
Istat ZERO
Sinistri attivi 162.332,78 162.332,78
Anno 2006:
Canone Ferrovia
Principe Granarolo 192.500,00
Istat relativa (1,7%) 3.272,50
Sinistri attivi 393.996,04
Istat su canone
Annuo di 17 M.ni
Di euro (1,7%) 289.000,00 878.768,54
Anno 2007:
Canone Ferrovia
Principe Granarolo 210.000,00
Istat relativa
(+1,7%+2%) 7.770,00
Sinistri attivi 899.683,11
Istat su canone
Annuo di 16.M.ni
Di euro (+1,7%+2%) 592.000,00 1.709.453,11
Anno 2008 (3,5 mesi):
Canone Ferrovia
Principe Granarolo 59.260,27
Istat relativa
(+1,7%+2%+1,7%) 3.199,84
Sinistri attivi 288.936,08
Istat su canone
Annuo di 15 M.ni
Per 3,5 mesi
= 4.375.000,00
(+1,7%+2%+1,7%) 236.250,00 587.646,19
Totale generale 3.338.200,62
Tenuto conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della legge 14 gennaio 1994 n. 20, in quanto al 59% del danno subito da A.M.I. e, quindi, dal Comune unico socio, corrisponde un vantaggio equivalente dello stesso Comune, socio nella medesima percentuale di A.M.T. S.p.a. che ha fruito dei servizi intercompany prestati (e non fatturati) da A.M.I., detto danno deve essere ridotto al 41% dell’ammontare complessivo ed è, pertanto, pari ad € 1.368.662,25.
Il Collegio ritiene, inoltre, che una percentuale del 25% di tale danno sia da addebitare a negligenze ed errori della Struttura amministrativa del Comune e dei soggetti che hanno supportato gli amministratori nella preparazione dei documenti di gara, in particolare degli schemi dei contratti intercompany, per la scelta del socio privato di A.M.T.
Determinato, pertanto, il danno addebitabile ai condannati in € 1.026.496,50, dello stesso debbono rispondere, in relazione al diverso apporto causale, il Sindaco Giuseppe Pericu nella misura del 60% per un ammontare di € 615.897,90, l’assessore Giovanni Facco nella misura del 20% per un ammontare di € 205.299,30 e gli amministratori dell’A.M.I. Carbone Michele Dino, Sani Angelo, Seccacini Giovanni Battista e Vezzani Marco nella restante misura del 20% per un ammontare di 51.324,80 ciascuno.
Tenuto conto della situazione complessiva in cui sono maturati i fatti che hanno determinato il danno di cui è causa, il Collegio ritiene, inoltre, di dovere esercitare il potere riduttivo dell’addebito ex art. 52 del R.D. 12 luglio 1934, n.1214, nei confronti di tutti i responsabili i quali debbono, pertanto, essere condannati a risarcire al Comune le seguenti somme comprensive di rivalutazione monetaria:
€ 450.000,00 il Sindaco Giuseppe Pericu,
€ 150.000,00 l’Assessore Giovanni Facco,
€ 35.000,00 ciascuno gli amministratori dell’A.M.I. Carbone Michele Dino, Sani Angelo, Seccacini Giovanni Battista e Vezzani Marco.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno erariale sono inoltre dovuti gli interessi legali, dal deposito della sentenza fino al soddisfo.
Ricorrendo per i convenuti Ghio Alberto, Merella Arcangelo,Musso Enrico e Profiti Giuseppe una causa di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 3, comma 2 bis, del D.L. n. 543/1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 639/1996, come autenticamente interpretato dall’art. 10 bis, comma10, delD.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito,con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, devono essere liquidati a favore dei predetti euro 3.000,00 ciascuno per onorari e diritti spettanti alla difesa, oltre a I.V.A. e C.P.A. nelle misure di legge.
                                           P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Liguria, definitivamente pronunciando, assolve da ogni addebito i convenuti Ghio Alberto, Merella Arcangelo, Musso Enrico, Profiti Giuseppe.
Condanna, limitatamente al danno derivante dalle modifiche apportate con il closing memorandum agli accordi intercompany, i convenuti Pericu Giuseppe, Facco Giovanni, Vezzani Marco, Sani Angelo, Seccacini Giovanni Battista e Carbone Michele Dino al risarcimento a favore del Comune di Genova delle seguenti somme comprensive di rivalutazione monetaria: Pericu Giuseppe € 450.000,00 (quattrocentocinquantamila); Facco Giovanni € 150.000,00 (centocinquantamila); Vezzani Marco, Sani Angelo, Seccacini Giovanni Battista e Carbone Michele Dino € 35.000,00 (trentacinquemila)ciascuno.
Liquida gli onorari e i diritti di difesa relativi ai convenuti assolti da ogni addebito nella misura di € 3.000,00 (tremila)ciascuno, oltre I.V.A. e C.P.A. nelle misure di legge.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in € 3.949,56 (tremilanovecentoquarantanove/56).
Le stesse sono poste a carico dei condannati in parti uguali.
Sulle somme per cui è condanna sono dovuti gli interessi legali, dal deposito della sentenza fino al soddisfo.
Così deciso nelle camere di consiglio del 25 e 28 gennaio 2011.








Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.